piazza regina margherita anno 1900

Il popolo in rivolta, anno 1363

Benché qualche scrittore moderno ci lasci detto che i carpinetani “combatterono assiduamente per questi prìncipi ottenendo in cambio l’abbellimento della città con palazzi maestosi, fortificazioni e chiese splendide”, vuole darci l’illusione che i signori si preoccupassero meravigliosamente del bene della popolazione: il che contrasta con la realtà storica.

Infatti il contrario ce lo fa sentire quel suono di campane che svegliò il castellano Nicola Capocci il mattino del 7 agosto 1363, mentre si vide far richiesta, da parte degli “officiali” carpinetani, per una procura presso i conti di Ceccano, i quali toglievano i sonni coi loro lamentosi motivi ereditari: al popolo non piaceva minimamente di essere considerato un oggetto di compra – vendita.

Il popolo carpinetano accorso numeroso a “Corte”, sentenziò a voce unanime che “niuna novità sarebbe stata fatta in questo tempo né circa la rocca e torre del castello, né contra i vassalli” e dava ai Conti l’ultimatum di un mese per mettersi d’accordo: era quindi consapevole di poter dare garanzie a tutti. Poiché il popolo aveva promesso di ben salvare e custodire la rocca in tutti gli avvenimenti, dando così un esatta valutazione che era capace di autogovernarsi e di sbrigarsi nei propri affari meglio dei politicanti consumati, non si fece attendere ad una prova di fuoco.

Infatti non tardò l’occasione di mettersi in mostra in avvenimenti di portata internazionale quando Roberto di Ginevra eletto antipapa a Fondi, al posto del legittimo Urbano VI (eletto a furia di popolo dai romani esasperati per come andavano le cose; il loro urlo contagiò la politica tutta, quando essi reclamarono che “il papa romano Io volemo o almeno italiano” scatenò guerriglie e furti nella valle del Sacco.
Una battaglia
Era l’inizio del cosiddetto “Scisma d’Occidente”. Bretoni e Guasconi insieme a soldati anagnini e verolani, condotti da Onorato Caetani conte di Fondi, pensarono bene di imposses­sarsi del castello strategico carpinetano, prima di avventurarsi verso altre posizioni meno custodite; ma non avevano fatto i conti coi carpinetani che avevano promesso ad una voce di custodire la rocca contro ogni ingerenza.

Era il 5 febbraio 1379 quando le truppe antipapali entrarono tra gli stretti vicoli medioevali dell’attuale “Corso” con cavalli, bardature splendide e l’occorrente per una lunga permanenza: ma le tegole, l’olio bollente, le travi e qualche cassapanca li fece rinsavire, non tanto in tempo però da accorgersi che le truppe di Adinolfo Conti erano arrivate loro dietro mentre i poveri Guasconi si riparavano dall’ira carpinetana come potevano.
fuggendo, gli assalitori avevano lasciato sul terreno un centinaio di morti, 160 prigionieri e 120 cavalli: questa vittoria fu subito risaputa dagli abitanti di Orvieto, momentanea sede papale, mediante lettere inviate loro.

Il vittorioso fatto d’armi carpinetano si ricollega direttamente alle Compagnie di Ventura, capitanate da italiani, che si giovarono all’inizio della tattica che adattò il capitano di ventura Alberico da Barbiano con la sua compagnia genovese di San Giorgio, per sconfiggere a Marino il resto delle truppe umiliate a Carpineto: era ancora lo spirito bellicoso che questa antica popolazione volsca aveva conservato!

Dopo questi fatti così gloriosi, i carpinetani si videro ancora cambiare padrone, finché una Bolla del 17 febbraio 1428, inviata da papa Martino V (che era riuscito a sanare lo Scisma d’Occidente), forse ricordando il bene che ne era derivato per la inaspettata vittoria carpinetana, perdonò le offese fatte dai Conti e diede ad Ildebrandino ancora potere su Carpineto, avocando però a sé la protezione delle persone e dei castelli di Carpineto e Montelanico.

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