L'avvento dei Caetani nel 1299 e i Conti di Ceccano nel 1323
Perciò i Canonici si affrettarono a contrattare con lo stesso Bonifacio VIII, simbolo della autorità papale e dell’ideale teocratico della Chiesa: questo uomo fortemente legato agli interessi del proprio casato, che aveva portato verso mete ardite in breve tempo, non lasciò sfuggire l’occasione che gli si offriva di aumentare la potenza del proprio nipote Pietro Caetani.
E così i Carpinetani si sentirono valutati, a loro insaputa, di un fiorino d’oro che il nipote di papa Bonifacio VIII, Pietro Caetani si affrettò a moltiplicare per cento, mediante il suo procuratore, con la non segreta intenzione di usufruire del feudo per un secolo.
Intanto Pietro Caetani non perdeva il suo tempo e ricalcando le ruberie dei Conti ceccanesi, si assicurò tutto il traffico nonché i castelli che dal Circeo ai Lepini popolavano le terre coltivate: nel numero dei 19 feudi da lui sottomessi sono naturalmente inclusi Carpineto, Collemezzo, Montelanico, Segni.
Neanche a dirlo, questa unificazione di terre ebbe la ratifica di un’altra bolla di Bonifacio VIII “Circumspecta sedis” del 10 febbraio 1303. Motivi di risentimento ce n’erano tra i feudatari Conti e Colonna che uniti al re francese Filippo IV il Bello, (assertore dell’autonomia dello Stato rispetto alla Chiesa e colpito da scomunica) tentarono in tutti i modi di contrastare papa Bonifacio, fino a pensare di farlo prigioniero e condurlo davanti ad un tribunale, reo di aver usurpato il trono pontificio al monaco Celestino e di aver coltivato interessi di parte.
Filippo il Bello mandò il suo consigliere privato in Italia, Guglielmo di Nogaret, che si fornì di buoni fiorini nelle banche fiorentine, (per poi mai più restituirle), offrendone una parte al mezzo galeotto Sciarra Colonna, ghibellino tra i ghibellini.
Il giovane Colonna si dette da fare per cercare amici nei ceccanesi e corrompere con duemila fiorini il capitano delle milizie di Ferentino; arrivò sfacciatamente a subornare pezzi grossi della corte papale.
Intanto tra la Sgurgola e Ferentino si erano radunati molti armati pronti all’assalto della città di Anagni.
L’insicuro papa anagnino si era ritirato nella sua città natale: ma la mattina del 7 settembre 1303 si vide “in Alagna entrar lo fiordaliso” (Dante) tra grida e maledizioni; al papa non restò che prendere il mantello pontificio e la tiara e sedersi sul trono, mentre i prudenti cardinali fuggivano attraverso le latrine.
Per tre giorni prigioniero, minacciato perfino di essere schiaffeggiato, mezzo morto di fame per paura di essere avvelenato rimase in balia dei ribelli: alla fine il popolo stanco della confusione che questi forestieri facevano dentro il palazzo papale, mentre dall’alto piovevano pagnotte di pane sulle teste dei liberatori, lo strappò dalle loro mani e lo condusse sulla piazza piangente: “I miei nemici mi portarono via tutti i beni, i miei e quelli della Chiesa.Vi dico in verità che io non ho nulla. E ho fame e sete. Allora una donna del popolo gli corse incontro e dopo avergli baciata la veste – così raccontano “Le Cronache pistoiesi” – gli offrì due uova.
Ma quello che non si riesce ad ottenere con guerre si può con matrimoni: così la pensarono i Conti Annibaldeschi di Ceccano che nel 1323 riuscirono nell’intento di riprendersi Carpineto assicurandosi però che i Caetani non li avrebbero molestati né mosso lite. Così Carpineto ritorna ai Conti.
Intanto anche la nostra cittadina costantemente munta dai signori, comincia ad abbellirsi; infatti un cardinale di casa Annibaldeschi di Ceccano ha appena il tempo di firmare il testamento per ricostruire la chiesa di S. Agostino, (all’entrata del paese per chi proviene da Roma) per poi morire.
Oltre la torre,essa conta fra le sue mura, due o tre chiese di discreto stile.
Ma come il feudo così le chiese subiscono i vari spostamenti: dalla diocesi di Anagni a quella di Segni per poi tornare definitivamente a quella anagnina “per l’incuria dei Vescovi segnini” come si esprime lo storico Contelori. Tolta la donazione del cardinale Annibaldeschi, tutto quello che la popolazione realizzò nella convivenza civile e religiosa, lo dovette alla propria iniziativa.
Evidentemente dai nobili patrizi Carpineto non poteva attendersi nulla di buono, e le future opere sono notificate come atti della “comunità e del popolo della terra di Carpineto”.
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