chiesa san pietro carpineto romano

Il Cammino Religioso di San Carlo da Sezze

Fonte: www.setino.it/cultura-sancarlo.htm

San Carlo, frate laico francescano o.f.m. (Ordine Frati Minori), si chiamava, nel secolo, Giovan Carlo Marchionne (o Melchiorre) e nacque il 22 ottobre 1613 a Sezze, attualmente città in provincia di Latina ma in quel tempo appartenente alla Reverenda Camera Apostolica di Roma. Giovan Carlo, dopo essere entrato nell’ordine francescano nel 1635 e dopo un’umilissima ed esemplare vita religiosa, morì a Roma il 6 gennaio del 1670, già in odore di santità. Sezze,il paese di San Carlo,in quel tempo era città della Reverenda Camera Apostolica di Roma (apparteneva cioè allo Stato Pontificio).

A Sezze, nel seicento, la “Cosa Pubblica” era nelle mani di poche nobili famiglie (I Normisini, i Pilorci, i Brancaleone) che, nel pieno dell’età nepotistica, controllavano lo svolgersi della vita comunale con l’appoggio dei grandi casati romani. Ma la Sezze del popolo, quella dei lavoratori e delle persone più umili, si reggeva sull’economia di piccoli agricoltori ( Che coltivavano generalmente terre non proprie, ricevute in enfiteusi dalle varie parrocchie) e da laboriosi artigiani. I “Bifolchi” erano una categoria di lavoratori abbastanza diffusa ( Il nostro santo è un illustre “bifolco”), anzi era già una fortuna, allora, possedere una coppia di buoi per coltivare i campi. La povertà infatti era sempre presente tra il popolo, arrecandogli gravi miserie materiali e pessime condizioni igieniche. Infine le immancabili Paludi Pontine rendevano l’aria malsana ed erano uno spauracchio per tutti, specialmente per i poveri agricoltori: nonostante l’impegno dei papi di allora la situazione dei campi ristagnava in modo preoccupante.

Ritratto di San Carlo attualmente esposto nella chiesa di San Lorenzo in Sezze (foto A.Danieli)

Tali condizioni di vita esposero penosamente Sezze nel 1656 ad una spaventosa epidemia che, così come in altri paesi, spopolò più di metà dei cittadini (San Carlo ci parla, nelle sue “Grandezze…” , di circa 4500 vittime) fra cui perirono anche due fratelli del nostro santo che erano dediti all’assistenza degli appestati.In quel tempo Sezze era divisa in sei rioni (quanti ne resta­vano di quell’antiche suddivisioni chiamate “Decarcie”) in ciascuno dei quali vi era una parrocchia con relativa chiesa: Santa Maria, San Pietro, Santa Parasceve, Sant’Andrea, Sant’Angelo, San Lorenzo. Ogni parrocchia aveva circa 150 scudi di entrata all’anno.

Agli inizi del 1600 Sezze era tutta pervasa di spirito religioso che, alimentato dalla devozione per l’abate Lidano d’Antena (San Lidano), fu rafforzato dal fiorire di svariate comunità francescane.

In Sezze infatti erano presenti quattro comunità francescane e la Compagnia di Gesù ( I Gesuiti) di Sant’Ignazio di Loyola. Gli ordini francescani ( le cui radici a Sezze risalgono all’amicizia di San Francesco con il setino cardinale Leone Brancaleone ) erano esplicitamente:

1) I Frati Minori (Conventuali e Riformati);2)I Cappuccini;3) Le Clarisse (Monache di Santa Chiara).

I Conventuali avevano il convento annesso alla chiesa di San Bartolomeo (ora adibito ad Ospedale Civile).

I “Zoccolanti” Riformati (L’Ordine del nostro santo) risie­devano nel convento di Santa Maria delle Grazie (ora adibito a Cimitero cittadino). I Cappuccini, dal 1612 in poi, dimorarono nel convento di San Francesco posto nel bosco (detto comunemente “La Macchia”) ove Giovanni Pilorci aveva rinvenuto due suoi figli che colà si erano smarriti. Le Clarisse di Santa Chiara si insediarono in Sezze nel 1603 in un monastero costruito per le Domeni­cane e mai da queste occupato. L’Ordine che però dette al paese più lustro, non solo religio­so ma anche sociale, fu quello dei Gesuiti.

Tali padri, stabilitisi nella chiesa collegiale di San Pietro, erano dediti principalmente alla diffusione dell’istruzione sco­lastica ed all’Apostolato cristiano.Il Collegio-Seminario Gesuitico fu sin dall’inizio un centro di studi altamente qualificato, divenendo ben presto il faro del­la cultura setina ( da esso uscì dotto giureconsulto il Cardinale Corradini). Ai bisogni spirituali dei cittadini invece, i Gesuiti provvidero con la creazione di una “congregazione mariana” (a cui si iscrisse più tardi anche San Carlo) che radunò “artisti” e “la­voratori” per formarli e temprarli cristianamente con esercizi di carità e di devozione.In questo clima di profonda spiritualità era impossibile che non spuntassero anime devote e cristianamente formate.

La questione sui dati anagrafici del santo è molto dibattuta ed è qui inopportuno dilungarsi su questo punto marginale. (Comunque chi volesse approfondire la questione sulla precisa data di nascita del Santo e sul suo cognome, può vedere il vol. I, 41 ss delle Opere Complete edite a cura di padre Raimondo Sbardella dal 1963 al 1973). San Carlo, da parte sua, nella sua autobiografia ci racconta naturalmente la sua vita a cominciare dalle proprie umili origini e si esprime in questi termini:

«Nacqui or dunque, per quello che si ricava nella fede di battesimo, ai ventidue di ottobre 1613, in giorno di martedì, e ai ventisette del medesimo mese, in giorno di domenica, fui battezzato, e mi posero nome Giovan Carlo» (Opere complete, I, 265). Anche circa i suoi genitori (e quindi sul proprio cognome) il Santo ci racconta e ci precisa: «Chiamavasi mio padre Ruggero Marchionne e mia madre Antonia Maccione, ambedue nativi dalle antiche famiglie di Sezze, città della reverenda Camera Apostolica» (I, 260).

Il segreto del graduale e corretto sviluppo umano, sociale e religioso del santo stà tutto in una esemplare educazione umana e sociale ricevuta nell’ambito domestico.

I suoi genitori furono naturalmente i suoi primi veri educatori (sempre esemplari, assidui e generosi di consigli e di disciplina cristiana) ma ad essi si aggiunsero i precetti e la testimonianza della nonna materna, Valenza Pilorci. la parola di Dio quindi fu la base solida e feconda in cui si innestarono i principi basilari, che , secondo le parole del padre, erano fondati nella stessa legge di natura. Tali principi comportamentali, come ripete il santo, si potevano sintetizzare nel motto cristiano che recita: «Non fare agli altri quello che non vuoi che sia fatto a te; fai agli altri quello che vuoi che sia fatto a te» (I, 261).In realtà tale lineare sviluppo umano non avvenne senza alcun ostacolo, anzi i primi impedimenti alla crescita armonica di Giovan Carlo gli furono dati dal suo stesso focoso temperamento che alimentò in lui l’istinto della prepotenza e della sopraf­fazione: infatti in famiglia tutti lo chiamavano il gallo di casa (I, 269).

Anche gli stessi studi scolastici furono ostacolati da una “diabolica” propensione del ragazzo verso letture non

prettamente scolastiche e formative.Infatti il giovane Carlo, che godeva di una vivida e prontissima intelligenza oltrechè di una incontenibile vivacità, era continuamente distratto dagli insegnamenti scolastici perché attratto maggiormente da letture più romanzesche e fanciullesche. Tutto questo venne quindi a discapito della sua corretta formazione che venne brutalmente interrotta da una ribellione clamorosa del giovane che rimediò un’amara subitanea «frustatura» (I, 68ss).

Gian Carlo così, in seguito a tali negativi risultati, che vennero visti quasi come una vera e propria catastrofe,pensò bene di ritirarsi ad una vita più idilliaca intraprendendo il lavoro dei campi e mettendosi a pascolare dei buoi che richiese espressamente al padre.In questa pacifica e distensiva occupazione Giovan Carlo riacquistò molto del suo equilibrio psicofisico di cui si giovò grandemente la salute.In questo modo il giovane venne a maturare gradualmente una propria vocazione religiosa, orientandosi precisamente verso una scelta laicale francescana.Infatti il giovane radicò in se stesso la vocazione dello stato di fratello laico tra i Frati Minori francescani. Decise quindi immediatamente di recarsi a chiedere consiglio ed accoglienza presso i frati che risiedevano nel locale convento di

S. Maria delle Grazie.

Questa singolare e inusuale sua decisione non venne accettata pacificamente nel suo focolare domestico che pur sognavano una carriera religiosa per il ragazzo. Oltre il diniego dei suoi stessi genitori la scelta del giovane incontrò anche una forte opposizione da parte dello zio materno, don Francesco Maccione, il quale voleva che diventasse prete. Tale rispettato ed influente parente anzi, per giungere al suo scopo e per convincere il nipote a farsi prete regolare, gli promise il suo stesso canonicato! In seguito lo stesso zio dovette accondiscendere all’idea che il nipote si facesse frate, ma sempre sacerdote. La volontà di Giovan Carlo alla fine fu la più forte di tutte e fece trionfare la risololuzione di intraprendere lo stato laicale dei frati minori francescani. Il 10 maggio del 1635, dopo aver cordialmente salutato quelli di casa, si recò a Roma, nella chiesa di San Francesco a Ripa Grande, per essere ricevuto all’Ordine, e il 18 maggio successivo vestì l’abito religioso nel convento-noviziato di San Francesco in Nazzano: come nome di novizio gli venne imposto quello di fra’ Cosimo.

L’interno della casa di San Carlo a Sezze in piazza San Lorenzo. La sua restaurazione nel 1995 è avvenuta a cura del Centro studi “San Carlo da Sezze” fondato in quell’anno per diffondere il messaggio spirituale del Santo.

Dopo l’anno del noviziato, non senza difficoltà e sofferenze, il giovane emise la professione religiosa e, sotto espressa richiesta della madre, gli fu di nuovo cambiato il nome in fra’ Carlo.Il giovane religioso iniziò a questo punto un lungo e faticoso cammino nei vari conventi laziali, quasi un continuo pellegrinaggio.La prima residenza del giovane Carlo fu quella del convento di Santa Maria Seconda di Morlupo, non molto distante da Nazzano.In tale eremo cominciò ad essere impiegato in quelle umili occupazioni apprese nel noviziato: ortolano e cuci­niere furono i suoi primi servizi. Nell’ottobre del 1637 fu destinato al convento di Santa Maria delle Grazie di Ponticelli Sabino. Improvvisamente, nel novembre del 1638, ricevette la notizia della mor­te della madre, proprio mentre si trasferiva da Ponti­celli al convento di San Francesco in Palestrina.In effetti, dopo la scomparsa del padre, morto nell’agosto del 1636, il santo era maggiormente rimasto legato alla figura della propria madre la cui morte il giovane presentì nel suo intimo prima che questa avvenisse.

Nel convento di Palestrina il giovane fu destinato ad un nuovo lavoro ed iniziò a svolgere l’ufficio di questuante. Carlo inoltre,nel suo graduale sviluppo religioso,cominciò a sperimentare le prime estasi propriamente dette. Dal 1630 alla sua morte San Carlo percorse vari stati di orazione (fervore di spirito, estasi, stigmatizzazione, comunione quotidiana, elevazioni di spirito, confermazione in grazia).

Nel marzo del 1640 fu mandato nel convento di San Giovanni Battista del Piglio, ma ivi rimase ben poco tempo perché nell’aprile seguente fu destinato a fare il sacrestano a Carpineto Romano. In tale convento Carlo, dopo questi continui spostamenti, poté restare fino al marzo del 1646. In questa stessa dimora il giovane dovette patire una pesante prova di pazienza e di fedeltà ai suoi voti: infatti Carlo fu sottoposto ad una in­comprensibile persecuzione da parte di un confratello e ad una furibonda tentazione di lussuria.Per scampare a queste diaboliche tentazioni Carlo fu sollecitato a scrivere sulla passione di Cristo, e nel 1645, proprio nello svolgersi di una dannosa peste che sconvolse il paese, egli diede prova di eroiche virtù quale benefattore e conforta­tore degli appestati, senza timore alcuno ed esponendosi cristianamente al rischio del contagio per la sua vocazione religiosa tutta dedita al prossimo ed a Dio (Il, 75ss).

Leggiamo ciò che scrive il giovane Carlo: «Dopo aver sopportato, in questo convento di Carpine­to, tante si

spaventose e terribili tentazioni del demonio, del senso e degli uomini, si fece il nuovo Capitolo provinciale, e fu eletto per Ministro della Provincia il padre Giuseppe da Roma, della famiglia Rivaldi, che fu nel 1646 nel mese di marzo, nel tempo di Papa Innocenzo X» (Il, 93). In questa occasione, cioè nel nuovo capitolo provinciale del 1646, fra’ Carlo fu trasferito a Roma, nel convento di San Pietro in Montorio, sul Gianicolo, dove resterà per il resto della sua vita, salvo due brevi soste nel convento di San Francesco a Ripa nel 1650 e nel 1652.

Nel 1647, essendo stato informato di una cruenta morte dello zio don Francesco, il giovane prova una violenta ed insinuosa tentazione di vendetta contro gli uccisori del suo amato parente. Il giovane, comunque, supererà anche questo travaglio e vincerà la tentazione portando il perdono personal­mente ai parenti degli assassini. «Il sangue non può diventare acqua», aveva scritto il giovane nella sua stessa autobiografia (II, lO4ss) ma tale modo comportamentale, prettamente umano, non aveva fatto i conti con la potenza della Grazia di Dio.

Nel 1648, come abbiamo visto, fu arricchito dalla trasverberazione del cuore nella chiesa di San Giuseppe a Capo le Case in Roma (II, 136ss).

Tale sommo ed intenso avvenimento mistico fu donato a fra’ Carlo quasi per bilanciare una sua eroica

rassegnazione a scontare una puni­zione malamente inflittagli. Da questo momento in poi ha inizio un vero e proprio supplizio di testimonianza religiosa. Fra’ Carlo infatti fu chiamato ad affrontare un’estenuante altalena di comandi e di proibizioni di scrivere.D’altra parte Carlo acquista un sempre più profonda stima di esemplare vita religiosa: egli diventa, a poco a poco, di­rettore spirituale di diverse persone, di laici, di prelati e consigliere di un congruo numero di comunità religiose.

In effetti fra’ Carlo, che aveva avuto da Dio doni straordinari, tra i quali, in particolare, quelli del consiglio e della scienza infusa, profuse a larghe braccia tutti questi gratuiti talenti e molti laici, sacerdoti, religiosi, vescovi, cardinali e pontefici ebbero modo di giovarsi di essi. Il nostro santo inoltre, nel corso degli anni, predisse il pontificato ai cardinali Fabio Chigi (Alessandro VII), Giulio Rospigliosi (Clemente IX), Emilio Altieri (Clemente X) e Gianfrancesco Albani (Clemente XI).

Con tutti costoro fra’ Carlo ebbe un rapporto di profonda amicizia nonché un intimo rapporto spirituale, soprattutto con papa Clemente XI. Tali carismi spirituali vennero naturalmente riconosciuti nella proclamazione della sua beatificazione (soprattutto quello della scienza infusa, definito assolutamente straordinario ).

Nel corso della seconda metà del suo secolo fra’ Carlo si dedicò a mettere per iscritto sia la sua vita che le sue intime esperienze.Questo impegno egli lo assunse, alla fine di un contrastato percorso, non per vanagloria ( il nostro era quasi un illetterato) ma solo per obbedienza verso il suo confessore che, riconosciuto il sommo valore spirituale delle sue esperienze mistiche, lo aveva alfine spronato a scrivere.

Fra’ Carlo in effetti, dopo sei-sette anni di studi giovanili in cui apprese i primi rudimenti della lingua latina ( I, 69 ), aveva dimenticato quasi tutto e gli restava, come afferma nella sua autobiografia, “solo nella memoria un poco di leggere e malamente di scrivere” ( I,272 ).

Oltre a questa impreparazione letteraria fra’ Carlo incontrò ripetutamente tanti altri svariati contrasti.Oltre le iniziali e

ripetute proibizioni dei suoi superiori anche la sua stessa vita spirituale rappresentò per lui una notevole fonte di difficoltà : le atroci sofferenze interiori, talora strazianti, gli causarono spesso uno stato di vera e propria “malattia”, procurandogli delle improvvise e strane ottusioni mentali ( I, 116 ss).

Alla fine di tutto però, superate positivamente tutte queste circostanze negative, il nostro religioso poté dedicarsi allo scrivere, affrontando, come già detto, questa occupazione solo come un’obbedienza da affrontare e non per vane aspirazioni letterarie.

 

Nel 1653 termina di comporre il “Trattato delle tre vie della meditazione e stati della santa contemplazione”.

E’ questa un’opera ascetica e morale,di mistica esperienza, in cui Carlo suggerisce un percorso di perfezione cristiana ripartito in tre vie :

· La via Purgativa ( in cui l’anima dell’uomo, sporca dei vizi e delle male inclinazioni, si dedica alla mortificazione ascetica ed a sviluppare in sé dei santi desideri ).

· La via Illuminativa ( in cui l’anima si impegna a diradare le tenebre del peccato e ad arricchirsi di virtù cristiane ).

· La via Unitiva ( in cui l’anima si dedica ad un totale spogliamento della sua volontà, distogliendola dall’ amor profano, rivestendola dall’amor sacro ed immergendola nelle virtù del santo amore di una vita attiva ).

La meta della via di perfezione è data dal finale riposo di una vita contemplativa.

L’opera fu pubblicata nel 1654 e nel 1664.

Nel 1654, alla fine di una lunga e laboriosa stesura, il nostro Carlo pubblica, per la prima volta, il lavoro dedicato ai

“ Canti Spirituali ” (nei quali si spiega l’interno cammino dell’anima innamorata di Gesù Cristo suo sposo) : trattasi di un’operetta poetica scritta da fra’ Carlo per comunicare il suo intimo ruminare composto di pensieri e parole. In semplici e poetici versi il nostro Carlo compone formule ripetitive di inni vari o di giaculatorie devozionali.

L’opera fu talmente apprezzata dal popolo dei devoti che di essa furono pubblicate altre edizioni nel 1664 e uno speciale commento talmente poderoso da costituire un lavoro a sé stante.

Nel 1657 fra’ Carlo termina il “Cammino interno” (dell’…anima sposa dell’Umanato Verbo Cristo Gesù, per il quale

ella s’incammina alla perfezione dell’unitivo amore con Dio): è questa un’opera molto voluminosa e di grande spessore sia per la varietà degli argomenti trattati sia per la profondità dottrinale.

Rappresenta un commento ai Canti Spirituali. Il lavoro fu pubblicato in Roma nello stesso 1664.

Di eccezionale importanza è quindi la dottrina mistica di San Carlo,da lui esposta in maniera dettagliata specialmente nel Trattato delle tre vie nel Ca­mino interno e nella Autobiografia, opere che rappresentano delle fondamentali esperienze mistiche nell’ambito della chiesa e quindi offrono un contributo molto significante alla scienza della mistica vera e propria poiché, fra l’altro, l’autore non comunica o insegna fatti basati su teorie intellettuali bensì descrive degli stati che egli stesso ha già sperimentato (Autobiografia, f. 305v).

San Carlo, per tali motivi, fu paragonato, con valide motivazioni, a San Giovanni della Croce e a Santa Teresa d’Avila.Tale grande “dottoressa” infatti non fu estranea a san Carlo, anzi venne da egli ritenuta, nel particolare descrivere gli stati sull’ora­zione, quale maestra datagli da Dio (ibid., f. 305r).

Nel 1660 Carlo inizia a comporre i “Settenari Sacri” (ovvero meditazioni pie per sollevare l’anima all’unione con Dio

per i sette giorni della settimana) : trattasi di un’opera complessa in cui si esprimono ben 98 meditazioni su sette particolari tematiche: la creazione, le virtù (teologali e cardinali), le virtù morali, i sette viaggi dolorosi di Cristo nei giorni della sua passione, le sette parole di Cristo pronunciate sulla Croce, le sette petizioni del Pater Noster , i sette doni dello Spirito Santo.

In sintesi Carlo esprime l’essenza della vita spirituale basata non sulla Scienza ma sull’Amore. Il progresso costante consiste nel praticare sempre di più l’Amore ( un solo amore distinto nei tre gradi : 1- Pratico ; 2- Fruitivo;

3- Essenziale ) tipico della vita attiva, di quella contemplativa e di quella perfetta. L’anima che tende a perfezionarsi ha per ideale la meta dell’Amor Puro, raggiungibile da tutti.L’opera è contenuta in un poderoso volume ed è utilissima per ogni persona desiderosa di salire a perfezione. Il lavoro fu pubblicato in Roma nel 1666.

In questo stesso anno furono pubblicati l’Esercizio devoto per la novena di nostro Signore e l’ Esercizio devoto per la novena della santissima Vergine Maria.

Nel 1661 Carlo comincia a comporre finalmente anche una autobiografia, la famosa opera meglio conosciuta come

“Le grandezze delle misericordie di Dio” (in un’anima aiutata dalla Grazia divina), che termina nell’agosto del 1665:

è questa una particolare descrizione autobiografica della vita del nostro religioso che ha voluto comunicare non tanto fredde notazioni di vita umana bensì l’intero svolgersi della sua vita spirituale alimentata e spronata a perfezione dalla mano gratuita di Dio.

Intanto, in questo scorcio di secolo, Carlo ebbe modo di girovagare ancora fuori di Roma:nel 1662 egli viene mandato a Napoli, nel monastero Santa Chiara, per compiere una funzione di direzione spirituale e nel 1666 accompa­gna il cardinale Cesare Facchinetti ad Assisi, Loreto, La Verna, Firenze. Altro viaggio nel 1669 a Spoleto, sempre dal cardinale Facchinetti. L’opera più voluminosa di fra’ Carlo è rappresentata dall’ “Esemplare del cristiano” (ovvero discorsi sopra i misteri principali della vita, predicazione, passione e resurrezione di Gesù Cristo, cavati da quello che hanno scritto i quattro Evangelisti, e divisa in tre parti):si tratta,come si comprende, della vita di Cristo, purtroppo incompleta per la sopraggiunta morte dell’Autore, arrivando fino al discorso sopra l’Ecce homo. L’opera ha carattere narrativo ed esegetico, ma con molta frequenza vi sono inserite riflessioni di natura eminentemente mistica, che danno un valore notevole allo scritto. In modo particolare fa impressione una conoscenza sbalorditiva della Sacra Scrittura da parte di fra’ Carlo. L’opera resterà inedita durante la vita e purtroppo tale rimane ancora oggi.

San Carlo fu uno scrittore fecondo e trattò con maestria problemi di altissima spiritualità, da destare ammirazione

in uomini dottissimi, come si espresse Leone XIII nella bolla di beatificazione (1,109).

Fra’ Carlo durante la sua vita religiosa mantenne sempre un’umile posizione all’interno della sua schiera francescana e non ricoprì mai incarichi di livello o di responsabilità direzionale. In effetti egli fu impiegato in molte umili occupazioni, proprie del suo stato ( fece cioè l’ortolano, il cuoco, il que­stuante, il portinaio e il sagrestano).

In tali uffici fra Carlo si distinse per l’umiltà, l’ubbidienza, la pietà serafica e l’a­more verso il prossimo, riuscendo ad unire alla più intensa vita interiore e contemplativa una instancabile attività caritativa e apostolica.

Proprio da questa propensione missionaria Carlo fu spinto a chiedere spesso di uscire fuori dal proprio convento per dedicarsi amorevolmente alla cura di tutti i bisognosi sparsi in varie parti d’Italia ( Urbino, a Napoli, a Spoleto e molte altre città minori).

San Carlo, quale frate francescano dei Minori Riformati, il 6 gennaio 1670 rese l’anima a Dio (Il, 515ss).

Dopo la morte iniziò la raccolta di testimonianze sulla santità di fra Carlo da parte di P. Angelo Bianchineri da Naro, già suo confessore saltuario e consigliere assiduo, di Nicola Grappelli ed altri. Nel 1694 La Congregazione dei Riti decretò di aprire il processo sulla fama di santità, virtù e mi­racoli; iniziò così una trafila che si dimostrò, per varie cause, piuttosto labo­riosa: Clemente XIV dichiarò l’eroicità delle sue virtù il 14.06.1772, la congregazione generale per procedere alla beatificazione ebbe luogo nel 1875 e solo nel 1882 fu proclamato beato da Leone XIII (con breve del 1°.10.1881). Anche per la canonizzazione si ebbe un contrattempo: era stata programma per l’ottobre 1958, ma il 9 di quel mese morì Pio XII e così la glorificazione fu aggiornata per il 12 aprile 1959, e fu operata da Giovanni XXIII (II, 518ss). Il corpo riposa in San Francesco a Ripa. La festa liturgica, per l’ordine francescano, si celebra il 7 gennaio.

San Carlo rientra nella schiera di quei santi stigmatizzati e si distingue da tutti gli altri per essere il solo tra di essi ad aver ricevuto uno stigma prodigioso nel cuore direttamente dall’Ostia Consacrata (La Santa Eucarestia), per di più durante lo svolgimento di una Santa Messa.

La Reliquia di San Carlo in occasione della sua permanenza nel duomo di Santa Maria nel 1998 (foto A.Danieli)

Tale fatto prodigioso avvenne a Roma nell’ottobre del 1648 dentro la chiesa di San Giuseppe a Capo le Case.

La “trasverberazione” o “stigmatizzazione” del cuore di San Carlo è stato l’evento più prodigioso e soprannaturale avvenuto nella vita di S. Carlo da Sezze che naturalmente ci ha raccontato l’episodio nella sua autobiografia

( “Le Grandezze delle Misericordie di Dio “, Libro VII, 6° cap.” ). Secondo le testimonianze di alcune religiose del monastero di San Giuseppe, fra’ Carlo rimase privo di sensi per vario tempo, tanto che dovettero mandar “fuori aceti e cose confortative per farlo rinvenire”, sebbene alcune dicessero che non si trattava di “svenimento naturale ma di cosa soprannaturale”. Secondo altre testimonianze fra’ Carlo, per timore di peccare di vanagloria, pregò il Signore perché si chiudesse la medesima ferita, che “fece per qualche tempo sangue”. Si testimonia anche che il santo, nonostante che la ferita fosse chiusa, ne sentì il dolore fino alla morte. Il 6 gennaio 1670 infine, cioè alla morte di fra’ Carlo, comparve definitivamente sul suo petto un singolare “stigma” che venne riconosciuto di origine soprannaturale da un’apposita commissione medica e fu adottato come uno dei due miracoli richiesti per la beatificazione.

Per arrivare ad essere riconosciuto “Patrono” della sua Sezze San Carlo ha dovuto compiere una trafila e mettersi in attesa del titolo alle spalle di San Lidano Abbate che, appena morto, nel 1118, venne subito acclamato patrono di Sezze e tale è rimasto a tutt’oggi. San Carlo quindi solo da pochi anni, a furor di popolo, ha affiancato San Lidano nel patronato della sua stessa città ed ambedue vengono solennemente celebrati ogni prima domenica del mese di luglio.

San Carlo da Sezze, diversamente da San Lidano, non possiede di per sé una “Leggenda” vera e propria (in senso letterario ed agiografico) ma in realtà la bibliografia attorno alla sua santità è grandemente sviluppata e si è arricchita sempre di più nel corso degli anni, a partire dalla sua beatificazione del 1882 fino ai nostri giorni. La base letteraria della sua “Leggenda” è anzi costituita dalla sua stessa autobiografia, lasciataci dal santo. Tra i letterati più famosi che, attraverso un intimo rapporto con il santo, si sono distinti per le loro opere agiografiche caroliane: Anton Maria da Vicenza, padre Severino Gori, Jacques Henrinckx, mons. Ippolito Rotoli, Antonio Valleriani, mons. Vincenzo Venditti e il padre francescano, confratello del santo, Raimondo Sbardella che ha profuso quasi una vita intera per la pubblicazione e divulgazione delle opere di San Carlo.


Le tre vie della Meditazione Di San Carlo da Sezze ofm
(Dal “Trattato delle tre vie”)
– Dialogo tra San Carlo e due penitenti laici –
di Carlo Luigi ABBENDA

 

1° Peccatore: Ahimè, ditemi fra’ Carlo la via da seguire: perduta ho io la divina grazia che porta seco la vera pace, la consolazione certa!

La mia anima meschina di peccatore è priva ormai di questi beni; ripiena di fantasmi e immagini nocive è la mia memoria; il mio intelletto è offuscato e coperto di folte tenebre; piena d ‘ affetti impuri e d’amor disordinato è la mia intrigata volontà che invece dovria esser colma dell’amor di Dio.

 

San Carlo: O uomo miserabile e corrottibile, invecchiato ne’ peccati, non t’accorgi che altro non fai che continuamente trasgredire li divini precetti e, seguendo l’orme del peccato, offendere quell’infinita Maestà, dalla quale tu hai ricevuto ogni bene, e tanti altri ne ricevi giornalmente. Non ti avvedi che, sodisfacendo a questo tuo corpo sozzo e stomacoso, lo fai diventare un oscuro sepolcro, dove, mentre tu vivi, giacerà sepolta l’anima tua meschina, priva di ogni spirituale conversazione, abbandonata et afflitta, senza potersi punto ritirare nell’interno, e , nel suo centro riposando, conversare col suo Dio, senza potere ella rimirare quel divinissimo sole, dal quale fu formata ad imagine e similitudine sua, essendo impedita dall’immondizie del peccato la sua luce spirituale.

 

2° Peccatore : Infelice è il mio stato in cui giace la mia anima, crudele è il suo stato e crudele è il mio esistere: camminando stò per strade faticose e piene di peccati! Ditemi, o confessor dell’anima mia, quale via ho da seguire per scampare dalla sepoltura eterna, piena di tenebra e di fetore?

 

San Carlo: Il tempo presente è breve, tosto sparisce, e l’eternità non ha fine. E’ severa la giustizia di Dio, dalla quale tu non puoi sfuggire. Dimmi, ti prego, a che ti averà giovato il tempo malamente speso, il quale ti è stato concesso da Dio acciocché riconoscessi la sua bontà e, conoscendo, l’amassi e facessi insieme penitenza de’ tuoi peccati, mortificando il tuo senso sfrenato?

 

1° Peccatore: Un verme mi rode l’intimo delle viscere, un’angoscia m’assale: così malvagiamente agendo, secondo la moltitudine de’ i peccati, nell’inferno mi par di

andare. E qui più grave sarà il castigo se oltre la giusta pena avrò dippiù anch’io un maggior danno di veder chiusa in faccia per sempre la porta della Misericordia di Dio. Fiacca è però la mia volontà e incapace son ora di compiere le buone azioni. Di null’altro sono capace se non di chieder a te dei lumi!

 

San Carlo: Convertiti, figiuol mio, a nuova vita e rifletti sulla questione che io ti pongo: A che, dimmi, ti avrà giovato l’esser stato uomo di gran sapere e stima appresso il mondo, e quando vedrai perduta per sempre la memoria del tuo nome, la gloria, gl’onori, li titoli, le dignità, e svanita ogni cosa come un fumo? Misero, che fai? Che pensi? Pensi tu forse con la tua potenza e forze del tuo valore superare la divina giustizia? O con il tuo tesoro scampare dall’inferno? Nulla vale il tuo sapere, la forza, l’armi, le genti e le ricchezze!

 

2° Peccatore: So ben io che vano è il mio pensiero e senza fondamento è la mia speranza se ostinato continuerò sulla via del peccato. Dimmi allor, mio caro frate, quale erbaccia immonda debba io per primo estirpare per poter nuova vita principiare!

 

San Carlo: D’apprincipio in Dio devi confidare, a Lui solo la Speranza tua affidare! Tutte le creature inabili e senza valore alcune sono esse tutte di fronte a Dio Onnipotente: E’ Lui il creatore e Signore di tutto, dal quale hanno vita e mantenimento tutte le cose.

 

2° Peccatore: Nel mio cuor subito metterò nuova fede in Dio, a lui sol sarà rivolta la mia speranza.

 

1° Peccatore: Dimmi ora, padre mio carissimo, di quale agir malvagio mi debba io purgare per cominciare e praticare nuova condotta.

 

San Carlo: Lascia, lascia ormai la tua sciocca e perversa opinione, cessa dall’impresa dell’amor profano et attendi alla virtù et all’amor puro e santo. L’amor vizioso e profano oscura l’anima e la riempie d’immondizie, facendola odiosa davanti al suo sposo Iddio.

 

2° Peccatore: Parlaci, dunque, consolatore benigno, di questo santo Amore, onde anche noi umilmente lo possiam conoscere e praticare!

 

San Carlo: L’Amor Santo è il divino affetto che lega la creatura al suo Creatore, che essa coniunge con il suo sommo sposo: tale amor luminosa e bella rende l’anima nostra e la conduce all’eterno gaudio con il suo benigno sposo.

 

1° Peccatore: Esplica ancora, o padre spirituale, questa somma verità giacché d’amor profano ripieno mi sento. Guai e amaritudini esso mi cagiona. Inabile e ritroso a seguir le divine ispirazioni io sono. Donami la forza per avviarmi verso questo amor!

 

San Carlo: L’Amore Santo, benigno verso l’anima assetata, la colma di perfetta pace, di consolazione, di gaudio e di perfetto timore onde ella vada verso l’amorosa esecuzione. L’Amor di Dio, il Santo Amore appartien a uomini savii, di santo giudizio, di fede viva, di salda speranza e di carità perfetta.

 

2° Peccatore: Quali uomini mai sono questi predetti e quali saldi giudizi hanno in cuor essi?

 

San Carlo: Gli uomini posson d’apprima esser appellati tali tutti quelli che umilmente riconoscono il bene che li fa il Signore e con somma gratitudine lo servono. Essi non fanno come li seguaci del mondo e dell’amor profano, la cui memoria dura poco ed è di poco conto. Degli empi invero non resta alcuna memoria, mentre eterna e senza fine è quella dei seguaci di Cristo.

 

2° Peccatore: Perdonate il mio ardire, o dolce padre, s’io ora mi sento di dover obiettare: grama et infelice non sembra affatto degli empi la vita mondana e tutta nei piaceri essa li avvolge.

 

San Carlo: Tal volta parerà forsi che li seguaci del mondo abbiano, in ricompensa delli loro servizi, ricevuto dal mondo stesso qualche o assai numeroso benefizio in ordine all’onore e vivere umano, ma in ciò essi s’ingannano all’ingrosso: sappiano, costoro, che non fu l’impotente mondo ma fu l’Amor Santo, cioè Iddio, ad operare in loro questi benefici. Tutto al fine che essi riconoscessero con gratitudine la sua infinita bontà, l’amassero come loro Signore e lasciassero la mala vita passata, menandone una vita nuova. Talvolta infine la felice ricompensa terrena fu per pagamento di qualche opera buona da loro fatta in questa vita.

 

1° Peccatore: Davvero grande è questo Santo Amore e sempre più sete io ho di tal mistero sentire. Parlaci ancora, consolatore della nostra afflizione, di come tal amore santo appare.

 

San Carlo: La bontà e la liberalità di Dio non meno risplendono in tutte le cose create: invero Iddio, oltre che l’averci creati a sua perfetta somiglianza, ha voluto vestirsi della nostra propria carne, ricomprandoci col proprio sangue dalla schiavitù del peccato e di satana.

 

2° Peccatore: Quali altri doni ha Iddio Santo a noi donato, quali altre vie ci ha indicato per raggiungerlo nel suo divino stato?

 

San Carlo: Iddio Santo, oltre che sconfiggere il nostro male, una santa dimora ha voluto a noi dare. Invero egli ci ha posti nel grembo della nostra santa madre Chiesa, adornata ed arricchita dei santi sacramenti e dei divini precetti.

1° Peccatore: Che pensi ancor, o dolce frate, di tutte le cose create? Ognuna di esse porta con sé un segreto che ancor più il mio spirito agita inquieto.

 

San Carlo: Infiniti cieli sopra di noi sovrastano: l’aere e lo spazio infinito ricoprono maestosi. Inver l’Amor Iddio creò ancora questi cieli carichi di luminose stelle con due luminari bellissimi, a noi noti e cari: il sole e la luna. Per sostentare noi, poi, di ogni sorta di frutti l’Amore Sacro creò la terra adornata di fiori, d’acque, di pietre e di piante diverse. La Maestà di Dio infine, di ogni sorta di animali adornò la nostra terra, facendola feconda e carica di ogni bene.

 

2° Peccatore: Or ora a noi la via sembra della salvezza chiarirsi ma dimmi, fra’ Carlo, di quant’altro ancor dobbiamo nutrirci per raggiungere l’Amor Sommo e solo lui praticare.

 

San Carlo: Questo solo vi dovrebbe bastare e farvi odiare e lasciare il peccato e l’attaccamento all’amor vizioso e profano. In esso tutta sta l’affezione e l’amor delle creature contro la volontà di Dio. O infinità Carità! O ingratitudine degli uomini ostinati e duri nel peccato! Solo questo vi dovrebbe bastare ad infiammarvi tutti di questo Amor divino, santo e verace, seguendo con animo intrepido e costante i suoi santi precetti.

 

1° Peccatore: Finalmente ora io ho, dolce consigliere, inteso e da te appreso la giusta maniera di cristiana vita ma, perdonami (se commosso interiormente e, come penso questo tal mio compagno, risolutamente disposto a lasciare il peccato) umilmente ancor ti chiedo, per meglio seguir la virtù, quali particolari vie d’amor dobbiamo conoscere. Insegnaci minutamente ciò che dobbiamo fare per lasciare il peccato e ritrovare il Santo Amore.

 

San Carlo: Uno è l’Amore, tre sono le vie. Tre spirituali percorsi bisogna con fede affrontare:

· Purgativa è la prima via, in cui potrai la tua vita purgare dai sozzi vizi e dalle male inclinazioni. In essa son d’obbligo esercizi di mortificazione del corpo e del senso. Rimuovi le immagini nocive e riempiti di santi desideri.

· Illuminativa è la seconda strada, in cui potrai levare dall’intelletto le sue tenebre e riempirlo delle acquistate virtù.

· Unitiva , alfine, è la terza via, l’ultimo e sommo percorso santo, in cui potrai spogliare del tutto la tua volontà del profano amore e rivestirla della carità e del Santo Amor di Dio. In essa è d’obbligo il perfezionare le virtù e la pratica del Santo Amore in una adeguata vita attiva.

Così ben adornato, allora, con più facilità potrai passare al riposo della vita contemplativa, dove in carità ti ricorderai di pregare per i vivi e per i morti. Acciò si degni d’aver misericordia e perdonarci i nostri peccati.

Lo Spirito ci illumini e sia la nostra guida. Amen!

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