costruzione croce capreo

La pace e l' arrivo degli Aldobrandini, anno 1599

L’ 8 agosto 1557, avvicinandosi il giorno dell’attacco finale, il Colonna aveva costretto i carpinetani a inviare pane, vino e vettovaglie al suo quartiere generale, pena 100 ducati e, quello che conta di più, la disgrazia di Sua Maestà! Intanto cadevano i Castelli di Pruni, Collemezzo, Montacuto che chiudevano la vallata dei Lepini, mentre i carpinetani esterefatti di tanto fuoco inviavano disperati appelli di soccorso: “Navigamo et stamo per affogare”!

La resa di Segni portò l’allontanamento di forze nemiche, mentre i poveri abitanti di Pruni e Montacuto emigrarono parte a Carpineto, dando. nome ad un rione alto della cittadina chiamato «Cauto» (deformazione della parola Monte Acuto). E ci fu la pace.

Carpineto intanto ritornò ancora sotto la mano dei Conti, antichi signori della zona, ma i feudatari Conti erano così pieni di debiti che in compenso di 100 scudi sborsati dal cardinale Pietro Aldobrandini il 21 giugno 1599, dettero a questa famiglia tutto il feudo: il cardinale s’interessò subito alla costruzione di un signorile appartamento e della annessa chiesa di San Pietro; amava trascorrere la lunga estate nel suo feudo, che la nipote Donna Olimpia Aldobrandini, principessa di Rossano, soleva chiamare “Grazioso gioiello”.
Anche qui la storia si ripete (come al tempo di papa Bonifacio VIII) ed il papa Clemente VIII, nel 1603 concede al cardinale Aldobrandini «nostro nipote secondo la carne» ampie facoltà sul feudo carpinetano con l’emanare i suoi « Privilegi ».

Questo segno di nepotismo non doveva essere bene accettato dal successore di papa Clemente; infatti Gregorio XV impose al castello di Montelanico ed alle terre di Collemezzo (quasi tutte appartenenti a carpinetani) una tassa annuale affinché nella compra che gli Aldobrandini volevano portare a termine non fosse preferita Donna Olimpia Aldobrandini in modo da non ampliare eccessivamente il feudo di Carpineto: ma la realtà doveva smentirlo, perché il feudo s’ingrandì con l’apporto di queste nuove terre.

Un riuscito matrimonio che fu celebrato nel 1647 tra Donna Olimpia e Don Camillo Pamphyli, unì nel nome e nell’eredità questa famiglia principesca agli Aldobrandini.
Per mancanza di eredi gli Aldobrandini-Pamphyli (che avevano acquistato anche un nuovo cognome, Facchinetti) si estinsero e nel 1760 il feudo di Carpineto passò ai Doria Pamphyli.

Occorre ancora continuare a vedere l’ascesa di un popolo verso forme di convivenza più civili dal Seicento in poi. Lontano dai rumori di guerre e di strage, che hanno il potere di svilire la civiltà, Carpineto si dà alle opere di pace: i grandi avvenimenti storici passano come una lontana eco in mezzo a queste montagne. Lo spirito degli uomini prevale.

Infatti il convento di San Pietro ampliato dal cardinale Pietro Aldobrandini custodito dai frati minori francescani, secondo la testimonianza di Carlo da Sezze, (frate illetterato e “cucinaro di San Francesco”) si trasformò in “Studio della teologia, che fioriva molto in quel tempo e vi oscivano de uomini dotti”.

Carpineto sta diventando un cenacolo di uomini di pensiero, mentre il francescano San Carlo da Sezze arriva a Carpineto dopo aver attraversato a piedi la valle del Sacco ed essersi sentito dietro le calcagna l’ansimare di furiosi cani dei pastori di Castellaccio; è qui che egli consideratosi «uomo senza lettere» inizia a scrivere opere di interesse mistico tanto da essere considerato lo scrittore spirituale più interessante del Seicento.

Dalla sua autobiografia ricaviamo notizie riguardanti fatti straordinari che egli compì nella terra di Carpineto e sono pagine di commossa umanità quando questo frate descrive che “vi fu in detta terra una influenza di aria molto pestifera, che cagionò a quelle povere genti una gran infermità che molti assai ne morirono; morendone ogni giorno alla volta a numero di nove, di dodici e alle volte più o meno.
Sonavano per le chiese parrocchiali le campane, che, in sentirle, affliggevano fino all’anima et rendeva maggiore terrore che del male istesso!”.

La benedizione che egli diede con un quadro religioso dal piazzale del convento al paese di fronte, operò meraviglie nei malati che si alzarono dai loro letti, mentre “li tamburi con archibugi sonavano e sparavano delle botte”.
Ma questa peste bubbonica, così miracolosamente cacciata, ritornò con insistenza tale che il consiglio comunale del 6 dicembre 1657 approvò di “digiunarsi da tutto questo popolo perpetuamente la vigilia della Santissima Concezione” e di offrire un po del raccolto di olio alla chiesa di Santa Maria del Popolo.

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