palazzo pecci casa di leone xiii

Fine dello Stato Pontificio e ascesa di Leone XIII

Il 1870 è vicino. I confini del Lazio sono sotto pressione per le continue scaramucce che i garibaldini portano nei punti piùdisparati: i gendarmi pontifici di stanza nei paesi si ritirano verso Roma e lasciano la possibilità ad un gruppetto di carpinetani, sotto la guida di Picca Augusto, di infittire le truppe dei garibaldini.

Intanto la popolazione, non lasciandosi intimorire dai nuovi eventi, un bel mattino si dirige in massa fuori paese ed applaude calorosamente i gendarmi pontifici che ritornano nelle proprie caserme dopo i fatti di Mentana.

Il 1870 apre Porta Pia ai piemontesi che cercano subito faticosamente di far capire il nuovo spirito di appartenenza al Regno d’Italia; i Carpinetani, dopo aver creduto che fosse un mutamento temporaneo, (abituati da secoli ai diversi padroni) si consolano nel ricordo papale chiamandolo “il governo cessato” e preparano un concerto bandistico, diretto dal maestro Agostino Galeotti ed eleggono come sindaco l’ex Garibaldino Picca per sottolineare questo stato di cose.
La marcia reale cominciò a far camminare marzialmente i giovani carpinetani inquadrati nella locale Guardia Nazionale.

L’euforia fu presto raffreddata da alcune tasse impopolari che il governo italiano pensò mettere per raggiungere un’economia “fino all’osso”. Anche il grano che i contadini raccoglievano dai terrazzamenti di macerie lungo le «vallicelle» montane o nelle doline, dovette sostare alla tassa speciale sul macinato; un ispettore verificava se la quantità di grano corrispondesse a quella denunziata (altrimenti venivano ulteriormente tassati tanto i padroni del grano quanto quelli del mulino!).

Ma l’ingegno paesano trovò che due pietre combacianti ed aventi una lunga asta infissa (le famose molelle!) potessero facilmente schiacciare il grano mediante un lento faticoso girare: a notte si vedevano splendere lumi a petrolio e si sentivano velati mormorii di donne che molavano per evitare il fisco: parevano anticipare l’epoca del proibizionismo!

La convinzione di avere a che fare con una natura montana povera di risorse portava i carpinetani ad esasperare i motivi di attrito coi paesi limitrofi: le guerre di confine però non si fanno più con assalti ai pacifici contadini che “mietono e trebbiano” ma intervengono i giudici di parte con argomenti legali e con strumenti scovati nei ripostigli più polverosi: l’Ottocento raccoglie una messe enorme di documentazione che gli archivi appena possono contenere.
Si affaccia l’idea che la convivenza deve essere un fatto di reciproco rispetto e “gli offiziali” di Carpineto nell’anno 1615 3 giugno, inviano una lettera di raccomandazione agli uomini di Norma “baciandogli le mani e pregandoli dal Signore Iddio ogni felicità”.

La disputa è lo sconfinamento di alcuni porci che i solerti guardiani avversari avvistano e per maggior prudenza ne tengono in ostaggio uno soltanto; un essere così innocente non può diventare assolutamente un motivo di guerra e perciò la raccomandazione è che “si conservi e mantenghi la pace ed unione fra noi convicini”.
E la guerra non si ebbe. Anche Montelanico già da tempo aveva pensato a derimere le questioni confinarie nel lontano 5 maggio 1599 in quanto la famiglia principesca degli Aldobrandini si era decisa ad acquistare il territorio di Pruni e ad assicurarsi “l’altezza delle Cotelle avvicinandosi da piede alla Vallecchia di sotto al Castello guasto di Pruni fino allo tratto della valle del Limitone”.

In seguito i sindaci di Carpineto e Montelanico cercano accordi per “la continua incisione degli alberi fruttiferi in contrada Colobra, Campitelle, Lucineti e Costa Fredda” e “poiché l’uomo della cosa proibita ne fa una lecita, i due sindaci inesorabilmente stabiliscono che se uno verrà preso con le mani nel sacco “incorra irremissibilmente nella pena di scudi uno per albero abbattuto”.
Ed a questo punto i confini non sono legali se non hanno per i nostri antenati qualche grosso segno di croce scolpito sulla pietra viva come si legge in uno strumento firmato nel 1797 da un certo Seneca e un certo Macali (il quale “disse non sapere scrivere”) per i confini della contrada chiamata Recineta.

Sentiamo come afferma preciso lo strumento che ne fu redatto: “sulla pietra viva vi è stata fatta la croce in contrada Cisterna quale per linea stendesi per infino ai confini di Gorga, e scrima scrima fino al Monte don Marco”.
Sembra che alla guerra siano subentrati sentimenti pacifici: non così la pensano gli abitanti di Supino che cominciano una fitta azione legale col comune di Carpineto; nel 1882 si arriva ad avere un considerevole malloppo di carte in cui vengono rivangate cose del pieno Medioevo fino alle litigate del Cardinale Orsini signore di Supino, con il non meno tenero principe Pamphyli, signore di Carpineto.

Ed anche qui si ripete la storia di una cattura: le guardie di Supino arrestano e conducono via due coloni carpinetani che, credendosi nel loro pieno diritto, stavano “cesando in detta contrada Ciammottare”.
Il terreno di disputa è il campo di Santa Serena; anche qui croci e pietre segnano confini che non vengono minimamente rispettati.

I carpinetani, aggirando gli ostacoli, si comprano dal principe Camillo Aldobrandini (ex signore di Carpineto) tutto il terreno in cui il principe aveva diritto di “seminare pascere legnare” e quindi si incamerano “circa trecento settantuno ettari pari a rubbia romane ducento una”.

E’ l’anno 1882 ed i carpinetani sembrano che abbiano raggiunto i confini sacri; avevano cominciato a mettere, in pieno Medioevo, un santo monaco di guardia alle proprietà confinarie e finiscono con incartamenti legali: più sicuri ma meno poetici!

Ma nuovi confini Carpineto doveva raggiungere quando Gioacchino Pecci, (figlio del colonnello ed esattore di tasse Ludovico), già cardinale e diplomatico di carriera, venne eletto Papa “di passaggio”.
(Egli ammoniva però: «Per l’età non mettiamo i limiti alla divina provvidenza!). Pallido, fragile, tremante al braccio destro, il giorno che fu eletto mettendo il nome Leone XIII, cominciò la favola lieta dei carpinetani che familiarmente la chiamavano “io papa nostro” e volentieri si facevano prendere la mano, tra un bicchiere e l’altro, da ricordi più o meno veridici sul suo conto.

Alcuni lo ricordavano quando giovane studente metteva i lacci lungo il torrente della Annunziata per prendere gli uccelli; altri, quando, già cardinale, vide passare un piccione e chiesto un fucile lo centrò in pieno facendolo cadere dinanzi ai fedeli che si erano radunati presso la chiesetta campestre dell’Annunziata per cerimonie religiose.

Egli che costantemente era legato da affetto per i suoi paesani in mezzo ai quali era nato nel 1810, iniziò un nuovo mecenatismo costruendo fontane, chiese, ospedali e scuole. Minutamente s’interessava della vita carpinetana: spediva il celebre astronomo padre Secchi a far rilievi per l’acqua di Pandolfo, ma questi dopo accurati studi, sconsigliava Leone a fare spese superiori alla portata dell’acqua; martellava di insistenze gli ingegneri Olivieri e Camaiti che inviava a Carpineto per seguire più da vicino la costruzione delle opere pubbliche affinché si affrettassero; consigliava il nipote Ludovico Pecci, (creato da lui conte, titolo che poi rimarrà alla famiglia) a mettere a disposizione delle valorose suore Sacramentine la terra che egli possedeva vicino la chiesa di Santa Maria del Popolo per erigere un istituto femminile, per cui il nipote dichiarava davanti al notaio “essere esclusiva proprietà della predetta Santità Sua Leone XIII, perché costruita con denaro suo proprio e sopra aree di sua proprietà esclusiva”:

Ma tralasciamo l’elenco di opere leoniane e vediamo l’ormai vecchissimo Leone che si consola in Roma con il latte di una capretta carpinetana, pianta viti e olivi nei giardini Vaticani e prepara una grossa rete per catturare gli uccelli, ripensando al tempo in cui abbandona gli studi faticosi sotto il castagno del Casino, (residenza di campagna della sua famiglia), e si dà a corse e ascese di alberi per prendere nidi. Quando riceveva in Vaticano uomini illustri li consigliava a far visita al suo paese, alla cui aria fina egli attribuiva i suoi 93 anni di vita!

Ormai il secolo XX era raggiunto e Carpineto si accingeva a festeggiare i 25 anni di pontificato di Leone: il mondo guarda­va con ammirazione il paese che si era rivestito di nuove lu­minarie ad acetilene nelle piazze e nelle vie principali; archi e iscrizioni e fontane creavano un’euforia tale che un anonimo cantò: “Ecco che Carpineto s’è ingrandito di fontane e lampioni bene armato; questo lo dico a te, cuore contrito, ma carcerato va che n’ha pagato!”.

La strada Carpineto – Montelanico veniva allargata mentre i “legni” percorrevano la vallata con polvere tremenda e sballottolii tali che i nostri antenati pare facessero testamento per avventurarsi verso Roma.
Il 3 ottobre 1902 alle ore 21 scendeva dalla stazione di Segni monsignor Adami, (inviato speciale di Leone XIII per festeggiamenti leoniani) che prendeva posto sul landeau inviatogli da Carpineto; la strada si snodava irregolare con nuovi panorami; all’inviato pareva di sognare, e ritrovarsi tra le ombre dei Gasperoni, dei Masocco, dei Panici quando sbucarono tra i folti castagneti 20 cavalieri, reclutati tra le migliori famiglie carpinetane e guidati dal sindaco Costantino Bizzarri, che circondarono la carrozza e lo salutarono calorosamente.
Una fanfara posta dinanzi la chiesa di S. Agostino faceva una spietata concorrenza ai mortaretti, mentre duecento donne, con bianchi fazzoletti inviavano al cielo gridi di gioia.

Si chiudeva un periodo di esaltazione mentre papa Leone XIII moriva lontano, a Roma. Carpineto allora ritornava un paese chiuso dai Lepini, immersa nella sua pastorizia e povertà ed intanto ricordando l’inaugurazione di via e piazza “lo Lago” ripensava ad un arco trionfale tanto pomposamente iniziato e mai realizzato. Un giornale dell’epoca così commentava l’inaugurazione di questo fantomatico arco “aglio Lago”.
“In piazza era stato eretto un padiglione per la cerimonia.

I poggiali, i balconi, le scale esterne delle case più rustiche, tutto spariva dietro la folla che si accalcava, che si arrampicava ovunque. Fu data lettura della pergamena firmata da tutte le autorità e collocata in un tubo di zinco coi sigilli del municipio, indi posta in un’urna di marmo”. Ma ormai i carpinetani si rassegnavano a custodire solo il ricordo di quelle meravigliose giornate e non si riscaldarono minimamente quando il grande scultore ciociaro Ernesto Biondi concepiva l’ardita idea di un monumento a Leone XIII, che doveva avere per base la vetta rocciosa della Semprevisa, e una statua di bronzo di papa Pecci alta 20 metri essere visibile a 50 chilometri di distanza.
ciambelle anice

Prodotti Tipici

Visita il negozio online dove puoi trovare i prodotti tipici e tradizionali di Carpineto, da ordinare e con spedizione in tutto il mondo.

scorcio carpineto

Case e Alloggi in Affitto

Se vuoi visitare il Paese e cerchi un alloggio qui puoi trovare diverse soluzioni, comode e accoglienti, in base alle tue esigenze.