cittadini di carpineto ai tempi di napoleone

L'epoca napoleonica e il fenomeno del brigantaggio

Pur di fronte a queste sventure il popolo laboriosamente cresceva, apriva strade, costruiva chiese a sue spese e con giornate lavorative date gratuitamente.

Così avvenne per la chiesa Collegiata iniziata il 13 aprile 1753 col contributo di alcuni cittadini carpinetani; il 21 giugno 1770 otto canonici indossanti “rocchetto con mozzetta rossa e con cappuccio” preceduti dal prevosto (o preposto) in cappa magna di seta, vi entrarono solennemente per prenderne possesso.

Due canonici venivano eletti dai rappresentanti comunali ché, secondo una risoluzione consiliare, dovevano essere “soggetti i più capaci e morigerati e idonei e che tali canonicati non possino (sic!) conferirsi a forestieri, nonostante avessero domiciliata questa terra per lo spazio di dieci o più anni, ma sempre ai terrazzani”.

Una leggera forma di amor patrio e di interesse privato sembra far da scudo a questi uomini di governa locale. Ma la storia precipita: l’astro napoleonico è sorto all’orizzonte, il papa Pio VII viene portato in esilio in Francia abbandonando lo Stato Pontificio ai soldati napoleonici, mentre la signora Anna Buzzi, madre del futuro Leone XIII, coltiva i gelsi nel suo giardino (tanto suo marito è colonnello di truppa e può stare sicura!).

Un senato – consulto napoleonico unisce Roma all’Impero Francese e Carpineto fa parte del dipartimento romano di Velletri; anche gli uomini dovranno sottostare agli ordini della ufficialità napoleonica per mantenere viva la fiamma della rivoluzione.
l Lepini si riempiono allora di renitenti alla leva, che si uniscono ai pochi banditi per assassinio e si formano bande che infestano le vie dell’Appia e della Casilina.
Le carrozze dei viaggiatori sono fermate, perquisite e cavallerescamente i briganti prendono scudi e … calzoni.
Si apre così ai confini dello Stato papale la tristissima piaga del brigantaggio che durerà una trentina di anni (fino verso il 1830), alimentata dal fatto che i Lepini sono posti a contatto con le terre dello Stato napoleonico del regno di Napoli: infatti i vicini paesi di Sonnino, Vallecorsa, Prossedi enumerano centinaia di uomini datisi alla macchia, mentre Carpineto sembra quasi del tutto immunizzato.

l briganti entrano, escono dai loro nascondigli, protetti dall’omertà dei pastori, e con rapide mosse ghermiscono le loro vittime: “Briganti 7 presero Giovanni Battista Pecci nella vigna dell’Isola e volevano Scudi 6.000 che poi restrinsero a 600”.
Furono mandati scudi 100, un orologio, una posata d’argen­to, pane, vino, cacio “rosolio”.
“I briganti mandarono il cavallaro di Pecci a domandare 30 coppie di pane, molto formaggio ed un prosciutto ed una grossa copella di vino”. Così si legge in atti e in lettere personali di car­pinetani spesso spettatori muti dinanzi a questi fatti.
I briganti paiono solo bravi profittatori che si divertono a mangiare alle spalle dei ricchi: infatti “i briganti salutarono rispettosamente la signora Anna Pecci, che ritornava da messa.
Ottennero vino e cibo ed andarono a banchettare al Villino (Villa Marilena)”. Ma non sempre era tutto tranquillo: Diecinove, Gasparone, il prossedano, Masocco (detto il Gran Masocco), De Cesaris, Panici, quando si sentivano braccati o volevano punire la spiata non ci pensavano due volte a trasformarsi in uomini particolarmente crudeli.

Il Masi, biografobrigante del famoso Gasparone, lasciò scritto che “per Gasparone uccidere un cristiano era come andare a nozze: un macellaio sarebbe stato più imbarazzato a scannare un capretto” ed una volta che il brigante era fuggito da un volontario esilio in Romagna, passando per le Valli (le Vagli) ancora sfinito e armato di un bastone datogli da un pastore suo amico, incontrò un tale che aveva fatto da spia “allora il ba­stone roteò una, due, tre volte sulla testa del malcapitato che rimase cadavere”.
Carpineto perciò si infittì di uomini armati che perlustravano le zone attraversate da questi briganti; gli sbirri comandati da Francesco Cappucci di Carpineto (detto il Roscio), che aveva al suo seguito altri undici fratelli, setacciarono le montagne e “ivi furono tra i suddetti Birri e la compagnia di Diecinove, due battute, la prima a Bassiano, la seconda alle Scale Potenzia”; e allorché incontravano i briganti non dimenticavano il sangue che essi avevano fatto versare, infatti “quando a Gasparone gli fu ferito il brigante Paolo Rita, lo affidò ad un pastore perché lo curasse.
Un giorno i gendarmi lo scorsero che portava da mangiare al ferito. Arrivati sul posto, si scagliarono addosso al moribondo e sprecarono tanta polvere quanta ce ne sarebbe voluta per abbattere un intero battaglione”.
Quello fu l’unico brigante ucciso dagli sbirri!, conclude sarcasticamente il Masi.

A salvare la situazione intervennero i diversi editti di perdono, nonché agevolazioni a chi faceva la spia contro i banditi. Una denuncia conservata nell’archivio comunale di Carpineto dice “Al dì di detto febraro 1823 alle ore diecinove. E’ comparso Pasquale del fu Bernardino Macali ed ha esposto come appresso. Questo stesso giorno circa l’ore quindici, conducendomi in Collemezzo per miei affari, ho dovuto necessariamente passare per il colle Zappetella, pochi passi prima di questo passo, ho veduto Domenico Centra Capraro, che colla mano mi faceva segno di retrocedere, mi sono ad esso avvicinato, e mi hà (sic!) comunicato, che eranovi otto briganti, uno dei quali non portava armi, però ne do’ la notizia ad ogni buon effetto”.

Con la rinuncia di Gasparone al brigantaggio nel 1825 si con­cluse questa epopea di omicidi ed assalti che presto diventarono materia da leggenda, tanto che una tarantella in onore di Gasparone veniva cantata nelle feste paesane; in essa si diceva che: “in tutte trascorse – tra le selve – più di dieci anni – al paro delle belve. – Non era possibile di trappolarlo – in quel mestiere morto. Di Russia tutte le baionette, – non gli avrebbero fatto nemmeno un ette!”.
Ancor oggi sulle montagne aleggiano strani fantasmi di uomini con cappelli a larghe falde, alti e appuntiti, con fettucce colorate, rivestiti di giacca, gilet, calzoni color turchino, riccioli scendenti fin sugli occhi ed armati di fucile, pugnale e giberna in cui custodire cartucce: i pastori ed i contadini nei loro racconti ne fanno rivivere le gesta in modo che ha del miracoloso per l’esattezza della veridicità storica, anche a distanza di anni.

E mentre questa bufera passava per i Lepini e Napoleone moriva a S. Elena il vecchio Pio VII ritornava dall’esilio decretatogli da Napoleone: si sperava in un miglioramento di strade, di servizi, di difesa contro le scatenate forze del brigantaggio per cui “avendo avuto notizia dell’arrivo del papa, questi bravi sudditi carpinetani si attaccarono alle corde prima della Collegiata, quindi di tutte le altre chiese, e a due ore di notte ancora si suonava a distesa. Vi fu l’illuminazione, fascine accese per tutte le strade, e suon di tamburo”.

Si restaurava lo Stato Pontificio e la legalità; ma ormai le vecchie strutture stanno per crollare ed una visita di Pio IX nella rinnovata abbazia di Valvisciolo, continuatrice dell’opera cistercense della vecchia abbazia carpinetana, fa ancora accorrere le popolazioni carpinetane insieme con quelle limitrofe ad applaudire il pontefice e “le grida infinite di circa ventimila sudditi fedeli assordano l’aere di laudi, di evviva e di saluti”.
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