padre maestro carpineto romano

Testimonianze

Fonte: http://www.agostiniani.it
Carmelo S.Anna

“Mercoledì, 14 maggio 2003. Ore 16:00 il p. Matteo De Angelis, O.S.A. si sente male mentre si trova in giardino. Dopo qualche minuto spira per un infarto. Proprio in quel giorno, al mattino, era venuto al nostro Carmelo il p. Ludovico Maria Centra, suo confratello, per portarci le parti proprie dell’ufficio di S. Rita. Parlammo a lungo…sicuramente mai si sarebbe aspettato di divenire, in quello stesso giorno, il nuovo Priore del Convento degli Agostiniani.

Sarà stato sicuramente uno choc per il p. Ludovico e per gli altri confratelli che hanno convissuto tanti anni assieme al p. Maestro. Le campane hanno suonato a distesa. Noi abbiamo saputo della morte del p. Maestro da Don Ermanno, un giovane sacerdote, uno dei suoi tanti figli “spirituali”, da lui seguito nella confessione-direzione. Telefonammo subito a Don Goffredo, ma non c’era…sicuramente era già corso a S. Agostino!

E’ stata una perdita per i suoi confratelli, una perdita per il paese tutto: la sua scomparsa ha reso più povero Carpineto e i suoi abitanti! Amen, fiat! Il p. Maestro abbia la sua ricompensa:”Vieni, servo buono e fedele, entra nel Regno del tuo Signore!” Quanto bene ha fatto…io lo conobbi nel lontano 1949! Quanto gli deve questo paese! Povero, da povero non accettava offerte, neppure dai gruppi che soggiornavano nel convento di S. Agostino, in cui si trovava di comunità da tanti anni, e nemmeno dagli ospiti che accoglieva mandati da noi, dato che il nostro monastero non può ospitare molte persone a motivo di poco spazio.

Un uomo di Dio. Un uomo di preghiera. Un uomo umile e povero…eppure sapeva molto bene il latino e greco e impartiva lezioni da sempre. E gratis! Era un uomo che pacificava con il suo saper sdrammatizzare; un uomo ricco di bontà, di dolcezza, di ottimismo. Anche questa Comunità ha beneficato spiritualmente: ogni volta che lo si chiamava per la confessione, e poteva, veniva con gioia. L’uomo del “sì”, della carità. Ultimamente, invece, non veniva più fin quassù…ormai era da tanto che non lo vedevamo. L’ultima volta lo incontrai con una consorella dal dentista del paese…che affabilità con noi…un vero Padre.

Concedigli la tua pace, la tua luce, il tuo premio promesso, Signore!”.

“Vorrei spendere poche parole sulla persona del p. Maestro. Poche parole, esattamente come erano quelle che spendeva lui, ma non per poca affabilità, ma per discrezione e riservatezza. In lui tutto era disponibilità: parlava la sua stessa persona…i suoi occhi piccoli e scintillanti, vividi, quasi quelli di un perenne ragazzino; il suo vestito, a volte dimesso e semplice (come quando al posto della tonaca lo si vedeva con un grembiulone nero), ma che sprigionava una povertà dignitosa, quasi partecipazione alle ansie e al lavoro degli uomini, suoi fratelli. Era l’uomo dell’accoglienza e della purezza: sembrava un bambino per la sua innocenza e semplicità. Di lui conservo un ricordo meraviglioso; anzi, tanto più bello, quanto più è raro trovare persone così. Il mio è un ricordo speciale…da lui ho sperimentato la tenerezza di Dio, ho quasi “toccato” la Misericordia del Padre. Conobbi il p. Maestro attraverso la confessione…e fu un incontro buffo, goffo, ridicolo, eppure commovente! Ero la prima che andava a confessarsi da lui e, quindi, mi recai nella stanza dove siamo solite andare a confessarci ed entrai. Stranamente la stanza era buia e dentro non c’era nessuno. Quindi riuscii e domandai alla consorella in quale altro luogo della casa si era pensato di confessarsi, dato che il padre non c’era. La sorella mi disse che il padre era arrivato e che si era già accomodato nel solito luogo. Allora rientrai, a dire il vero scettica e anche un po’ innervosita, e accesi questa volta la luce della stanza. Il p. Maestro era lì, il piedi, in un angolo della stanza e mi disse: benvenuta, sorella, buongiorno, si accomodi! Ero sbigottita e anche impietrita, volevo dirgli: “Ma santo cielo, padre, ma poteva accendere la luce, no?”. Ma non lo feci, perché la sua persona parlava da sé e intuii subito le sue motivazioni interiori, intessute di umiltà, rispetto, discrezione. A raccontare un fatto del genere qualcuno, che non ha conosciuto il p. Maestro, potrebbe pensare che fosse un esagerato, uno sciocco, che non ci si comporta così…ma questo atteggiamento di profonda umiltà rientrava nel suo modo di fare; era parte di lui. Lui andava bene così com’era e lui era così. Certo, ciò che mi colpì non fu solo questo, ma la sua affabilità nel confessare, nello sdrammatizzare, nel comprendere, nell’ascoltare, senza giudicare o mostrarsi stanco, ma vorrei dire quasi “interessato” ai problemi altrui, quasi che li facesse suoi, li vivesse sulla sua pelle…proprio come un padre che partecipa al dolore e alla gioia della propria figlia. Era facile, con lui, aprire il cuore. Questo non significa che fosse tenero solamente senza pretendere poi una certa corrispondenza…no. Ma corrispondere alla grazia di Dio, con lui davanti, sembrava facile, bello, invitante. Ecco, questo è un piccolo episodio, ma personalmente credo che nella confessione il p. Maestro sprigionasse davvero il volto di un Dio vicino, Padre e Madre, buono. Solo per questo, sicuramente, in Paradiso godrà la dolcezza di Dio”.
P. Lombardi

Conferenza tenuta da P. Antonio Lombardi in occasione del XXV° di sacerdozio (07/12/1967) di P. Matteo De Angelis (agostiniano)

Vi confesso che quando mi venne offerta l’occasione di rivolgere, in questa circostanza, la mia breve parola in occasione del XXV° di sacerdozio di P. Matteo De Angelis, accolsi l’invito con molto entusiasmo perché mi dava la possibilità di parlare, pubblicamente, di un uomo al quale mi sento profondamente legato da vincoli di fraternità religiosa, sacerdotale e di amicizia umana.

Più tardi, però, fui preso quasi da un sentimento di perplessità e di timore per avere accettato quest’invito e di dover tessere l’elogio di un uomo del quale io conoscevo, conosciamo e conoscevamo tutti la riservatezza intima, la modestia esemplare, di un uomo che non ha mai voluto parlare di sé e delle sue doti, eppure lo avrebbe potuto fare giustamente, di un uomo e di un sacerdote che, quando sentiva che gli altri lo lodavano e facevano di lui elogio, si mostrava a disagio con quel rossore sul volto che distingue le anime semplici, delicate, timide, modeste e innocenti.

In un terzo momento ho pensato di chiedere, scusa a padre Matteo se dovrò dire di lui quello che lui non ha mai voluto sentir dire di sé, se dovrò decantare le sue doti e le sue qualità che egli ha sempre mostrato ma delle quali non si è mai gloriato.

Chiedo scusa perciò a lei P. Matteo se questa sera sono costretto a prendere la lucerna da sotto il moggio e porla sopra il candelabro. Sono costretto non per lei, non per il bene suo, ma per il bene mio, per il bene di questi giovani sacerdoti che le sono accanto, per il bene dei seminaristi che lei cura con tanto affetto, per il bene di questa popolazione che tanto apprezza e tanto stima la sua opera. Chiedo scusa quindi se prendo questa lucerna e la pongo sopra il candelabro, ma lo faccio perché, varcando la soglia della sua connaturale riservatezza, la lucerna della sua virtù risplenda di fronte agli uomini, come c’insegna il nostro Signore Gesù Cristo, danno lode non a lei, che sappiamo trema di fronte ai loro elogi come tremava il cardinale Federico Borromeo di fronte alle lodi, come tremano le anime nobili di fronte alle lodi, ma diamo lode al Signore al quale si deve ogni onore.

Era il novembre del 1944 quando, in una di quelle giornate viterbesi in cui il vento di tramontana mozza le orecchie, varcai la soglia del convento della S.S. Trinità di Viterbo. In quell’occasione ebbi la fortuna di conoscere il Padre De Angelis. Forse qualcuno di voi si chiederà: “perché non il Padre Maestro e invece in Padre De Angelis?”, perché di solito, nella nostra società gli uomini si riconoscono prima dai loro titoli e poi per le loro qualità, per le loro capacità, poi per le loro abitudini. In questo caso le cose stanno diversamente. Conobbi il Padre De Angelis, che non era ancora Padre Maestro, non aveva il titolo di P. Maestro, ma che faceva da P. Maestro, soprattutto ci amava da P. Maestro, ci guidava da P. Maestro, ci voleva bene da P. Maestro, ci seguiva da P. Maestro e giocava con noi da P. Maestro. Lo conobbi come P. De Angelis e lo ricorderò sempre così come il P. De Angelis. Più tardi, ripensando a questo fatto, e leggendo in un libro che “gli uomini non valgono per i titoli ma per le qualità di cuore e di mente” pensando a quali persone avessi potuto applicare quelle parole, ho sempre messo al 1° posto P. Matteo De Angelis.

Vi dicevo che egli non possedeva il titolo di Maestro ma aveva il cuore e la mente del Maestro, cioè del padre, cioè dell’educatore, cioè di colui che sa stare con i giovani, che li ama, li sostiene, li aiuta. Erano, quei tempi del 1944-1945, tempi duri, si passava sotto le macerie per andare a tavola, mentre il convento era, in gran parte, abbattuto dalla guerra; ma non solo, passeggiando per i corridoi si guardava l’azzurro del cielo e si soffriva il freddo: erano tempi di freddo intenso, il freddo vento viterbese entrava da tutte le parti. Chi conosce il convento di Viterbo sa quanto siano spaziosi ed ampi i corridoi e quanto ampi siano anche i finestroni che non avevano più tanti vetri ed io vedevo questo sacerdote che si arrampicava sopra la scala e saliva in alto per cercare di ostruire le aperture con dei pannelli di compensato ed impedire che il freddo entrasse, lo vedevo spesso con un pennello in mano dipingere le pareti per far sì che anche l’aspetto esteriore fosse meno triste.

Erano anche i tempi in cui si soffriva un po’ la fame e il P. De Angelis, cercando di renderci meno gravosa questa condizione, spesso ci portava alla Pallanzana a raccogliere le castagne, non solo, egli stesso cercava il pane per darlo a merenda ai suoi giovani figlioli. Erano temi moto duri ma lui ci rendeva meno amara la nostra adolescenza. Eravamo tutti adolescenti. Io, ricorso, ero tra i più piccoli e venivo da una condizione in cui mi ero trovato senza affetto: non avevo il padre e non avevo la madre, eppure posso rivelarvi che trovai in P. De Angelis e mio padre e mia madre. Quando seppe questo fatto, egli mi curò in modo particolare e, credo, che proprio questa sollecitudine abbia dato motivo ad un fatto che potete osservare nel giornalino che avete fra le mani: in quella lunga lista di sacerdoti formati dal P. De Angelis, voi potete vedere che il primo è proprio il mio nome. Fui il primo sacerdote a salire sull’altare quando il P. Matteo De Angelis prese, qui a Carpineto, il titolo e l’ufficio di P. Maestro.

Ci ha reso meno tristi nella nostra adolescenza: mi faceva uno strano effetto vedere questo sacerdote che giocava con noi, correva con noi nelle mattinate freddissime d’inverno per farci riscaldare prima di andare a scuola e, poi, prima di andare a pranzo. Non vorrei dilungarmi ma quante volte l’ho visto con breviario tra le mani trascorrere le ore piccole della serata in attesa che i seminaristi si addormentassero, qualche volta l’ho visto anche, per la stanchezza del giorno, addormentarsi sopra il breviario.

Ricordo la mansuetudine e la tenerezza con cui ci ha dato il latte delle prime verità della vita religiosa agostiniana. Ci insegnava la meditazione e ricordo anche un particolare che fu sempre la sua preoccupazione, ci diceva: “guardatevi ragazzi dalle parole pungenti”. Io ancora non capivo che cosa fossero queste parole pungenti, più tardi ho capito che parola pungente era quella che pungeva il prossimo e quando il Padre De Angelis diceva: “guardatevi ragazzi dalle parole pungenti”, voleva dirci non offendetevi ma voletevi bene. Non vorrei essere troppo retorico, ma un giorno, non vi rivelerò in quale occasione, l’ho visto anche piangere durante la celebrazione della S. Messa. Poi si venne qui a Carpineto si cambiò luogo ma i tempi non cambiarono. Molti di voi ricorderanno le difficoltà che attraversò qui nel Convento di Carpineto, ciononostante, con il suo entusiasmo ci incoraggiava, sempre con lo stesso animo. Mi ricordo che anche a Carpineto l’acqua entrava da tutte le parti, la gente ci sfamava, si girava il giovedì per raccogliere il pane e il Padre de Angelis lo distribuiva ai giovani.

Proprio all’inizio del Seminario a Carpineto, il Signore lo volle provare con una prova dolorosa, quando nel febbraio 1948 un seminarista dopo lunga malattia volo al cielo. Vorrei non ricordare qui, per non fare del pathos, le tante notti che il Padre Matteo ha trascorso accanto a questo ragazzo, soltanto vorrei dire la gioia che egli provò quando sembrò che il ragazzo fosse veramente guarito. Il primo giorno lo portammo all’orto per prendere il sole, sennonché, una mattina, mentre stavamo ancora riposando, venni svegliato di soprassalto e sentii il padre Matteo che mi diceva: “Antonio svegliati perché (non vi dico il nome) è morto!”. Fu un dolore per tutti ma soprattutto per il padre De Angelis. In quella occasione un padre qui presente scrisse queste bellissime parole: “Il sangue dei martiri cristiani è seme di nuovi cristiani”, quasi a significare che il Signore avesse voluto provare, con il sacrificio e la morte di quel ragazzo, la pazienza, la carità, la bontà ed il lavoro del nostro padre Maestro, perché egli, con questa pazienza e carità, potesse meritare la sua grazia cioè quella di far crescere nuovi cristiani e nuovo sacerdoti. Forse il Signore si volle servire di quel sacrificio perché padre Maestro con il suo zelo ed il suo impegno potesse capire che stava costruendo la chiesa per il Signore, ed oggi vedete dopo venticinque anni di sacerdozio, come dice la sacra Scrittura che ho tra le mani, intorno alui una corona di sacerdoti, una corona di figli che sono pur la sua gloria, solo dopo venticinque anni di sacerdozio.

Di solito gli sposi, dopo venticinque anni dal loro matrimonio, possono fare un bilancio della loro attività, un sacerdote non può far mai un bilancio del suo venticinquesimo sacerdotale.

Padre Matteo De Angelis dopo tanti anni di attività e di educazione può dire “ho dato alla chiesa diciotto sacerdoti”. Può farlo questo bilancio padre, ma è un bilancio che sfugge alla sua considerazione ed anche alla nostra più accurata attenzione, perché i bilanci delle cose possono essere sottoposti a nessuna umana statistica. Lei ha dato alla chiesa un gruppo di diciotto nuovi sacerdoti, ma quei diciotto sacerdoti hanno dato alla chiesa tante più anime, hanno distribuito tanta grazia, hanno ridato tanto gioia, hanno ingrandito il regno di Cristo, soltanto Dio può valutare quello che lei ha fatto, soltanto il Signore può darle una degna ed adeguata ricompensa.

Pensando come potessi sintetizzare, con parole modeste e semplici, l’opera del P. De Angelis, mi è venuta in mente un’espressione del vangelo, quando si avvicinarono a Gesù e lo chiamarono: “Maestro buono”, e il Signore rispose: “Perché mi chiami buono? Non sapete che solo Dio è buono?”. Vorrei dire anche a lei Padre Maestro buono, ma non soni io che glielo dico, infatti, quando incontrando qualche agostiniano informavo che stavo a Carpineto, mi dicevano tutti così: “a Carpineto dove avete quel Padre Maestro ch’è tanto buono?”. Dunque mi lasci dire maestro buono. Se poi lei mi dice come il Signore: “Perché mi chiami buono? Non sai che solo Dio è buono?”, le risponderò che sì, solo Dio è buono, ma noi sacerdoti e la popolazione tutta, avvicinando lei, abbiamo sempre constatato e sperimentato la sua bontà di uomo, la sua bontà di sacerdote, il suo tatto squisito, la sua signorilità di spirito nel trattare con gli altri, la sua saggezza nel consiglio come sacerdote, la sua prudenza nel prendere decisioni; ma può ripetermi: “Non sai che solo Dio è buono?”.

Ma siamo sicuri di fare un torto a Dio dicendo che, anche lei, è buono, è il maestro buono come Gesù, proprio perché, intimamente, partecipa della stessa bontà di Dio, che le ha donato questa saggezza e lo ha voluto sempre illuminare di questa luce soprannaturale?

Questo è il mio augurio, ed è anche il mio ringraziamento, che lei, maestro buono, come è stato maestro buono, com’è oggi maestro buono, sia sempre, come Gesù, maestro Buono.
Cristina

Stava nella sua stanza, luce accesa e lente d’ingrandimento in mano, era intento a leggere un brano in latino forse (non ricordo bene) ma appena aprimmo la porta ci accolse con un sorriso come solo lui sapeva fare… Fu l’ultima volta che lo vidi, l’ultima volta che strinsi la mano ad un uomo santo. Ed è proprio così che lo ricordo: come una persona santa, umile, con il cuore ricolmo di bene per gli altri, pronto a dare tutto, a dare tutto di sé. Il suo vivere per gli altri è stato la fonte della vera gioia, di quella gioia che ha donato a chiunque lo abbia incontrato. Parte di questa gioia la custodisco anch’io nel mio cuore e sento che è viva in me perché anche se lui non è più qui continua lo stesso a donare ad ognuno di noi gioia ed amore come ha sempre fatto.
Don Luigi Di Stefano

Da Ferentinu me…nun po’ murì (giugno 2003)

Giovedì, 15 maggio u.s., ho partecipato a Carpineto Romano ai funerali di P. Matteo De Angelis, ferentinese, religioso agostiniano, ivi deceduto presso il Convento di S. Agostino, dove risiedeva.

L’allestimento dell’altare per la Concelebrazione sulla pratina verde del campo sportivo, la presenza del Vescovo di Anagni-Alatri Mons. Lorenzo Loppa, numerosissimi sacerdoti, il sindaco con la fascia tricolore e il gonfalone, e poi tanti tanti giovani con l’intera popolazione carpinetana davano l’idea di una “Messa sul campo” per un eroe nazionale. E tale era P. Matteo per i carpinetani. Dieci anni fa, infatti, per il cinquantesimo del suo sacerdozio, il sindaco gli aveva conferito l’alta onorificenza cittadina di “Cittadino benemerito”.

P. Matteo De Angelis era nato a fermentino, nei pressi di S. Maria dei Cavalieri Gaudenti, rione di Porta Montana, il 18 maggio1920, come l’attuale Pontefice; discendente di quella famiglia, che dal 1700 hanno dato a Fermentino il grande pittore Desiderio De Angelis, il costruttore e parroco di S. Ippolito, Don Fedele, eroe-martire, ucciso dai rivoluzionari francesi in Roma e la mamma della novella Santa Maria De Mattias, Ottavia De Angelis.

Da ragazzo, dopo un breve periodo nel nostro Seminario Diocesano di Fermentino, passò nel Seminario degli Agostiniani, studiando a Roma e Pavia, e fu ordinato sacerdote a Viterbo il 6 dicembre 1942.

Da quel giorno il suo servizio alla Chiesa nell’Ordine Agostiniano come “fondatore di giovani”: Padre Maestro, titolo che diventerà classico per lui e lo accompagnerà, per antonomasia, fino alla fine. Per le sue cure in questo delicato incarico sono stati formati e dati al suo Ordine 18 giovani sacerdoti: un lavoro grande ed eccellente!

P. Carlo Cremona, il celebre scrittore, agostiniano, apprezzato pubblicista e vaticanista, rivendica l’onore di averlo scelto all’inizio e associato a sé in tale compito. In un articolo apparso su “Avvenire” (21.5.2003), angolo del Frantoio, dal titolo “il difficile mestiere dell’educatore” così si esprime:”Qualche lettore vedrà in queste mie parole una vena di pessimismo…è piuttosto tristezza per la perdita di un caro e santo confratello…Non è un necrologio; il mio confratello P. Matteo De Angelis, mite e santo sacerdote, da cinquantacinque anni apostolo a Carpineto Romano, nello spazio poco più di un’ora, mattine fa, improvvisamente ha aperto le ali e, angelo qual’era, se ne è volato in cielo. Una vita sacerdotale di grande dolcezza. Ricordo, all’inizio, il buon Dio lo destinò a me per avvalermene in piena cordiale collaborazione per formare futuri sacerdoti. Fui sempre tranquillo di essermelo associato. Poi lui ha proseguito senza di me…Per la sua lunga mansione di educatore e non solo di aspiranti al sacerdozio, ma di ragazzi studenti che lo cercavano come ripetitore di compiti scolastici, la popolazione gli si era straordinariamente affezionata e continuava a chiamarlo maestro. Di una incredibile dolcezza, che attingeva da autentica pietà; apostolo nato nella semplicità, senza saccenteria di sorta; quando un’esigenza pastorale veniva meno, eccolo ad inventare, riconvertendo e ristrutturando locali, l’intero convento per adattarlo ai bisogni di apostolato più attuale, sempre a beneficio del popolo. E così lo spazio ameno del convento agostiniano di Carpineto Romano, già seminario, viene riorganizzato per l’ospitalità gratuita a gruppi di ragazzi in vacanza da ogni parte d’Italia. Un apostolato per ragazzi, curati e amati fino ad una autentica paternità”.

In 60 anni di servizio pastorale P. Matteo ha impersonato i compiti più diversi di servizio alla Chiesa, all’Ordine e al popolo di Dio.

Così c’era un P. Matteo di rappresentanza, come Superiore della Casa, insegnante di Religione, organizzatore di manifestazioni, mostre e feste(estemporanea di pittura); ma c’era un P. Matteo vero, il fondatore spirituale dei giovani seminaristi, il confessore indefesso e discreto, l’umile operaio con un “spolverino” nero sempre addosso, pronto a tutti i lavori manuali, disponibile per tutte le ripetizioni gratuite d’Italiano e di Latino.

Dei vari oratori al termine della cerimonia pochi hanno insistito nel ricordo delle sue molteplici attività: tutti lo hanno rimpianto per la sua disponibilità, l’affabilità e le incomparabili doti del suo cuore.
Iolanda D’Arcangeli e Famiglia

Un pensiero per il nostro caro Padre Maestro che ha dedicato tutta la sua vita per il convento e per il nostro Carpineto, per grandi e piccoli aveva sempre buone parole per confortare tutti. Disponibile per l’insegnamento lo ricorda tutto ilo nostro paesello con grande affetto
Franco e Anna

Era l’ultima settimana di Agosto del 1991 e io e mia moglie Anna , unitalsiani, eravamo piacevolmente impegnati in un soggiorno estivo della sottosezione di Colleferro. Tale soggiorno era destinato ad accogliere ed assistere per circa una settimana molti amici portatori di handicap delle zone circostanti. Tra personale ed assistiti eravamo circa ottanta persone ed eravamo tutti accolti nel Convento Agostiniano di Carpineto Romano. La vita di quei bellissimi giorni era intensa, fatta di lavoro continuo e di condivisione di momenti felici, spassosi ma anche spiritualmente intensi. La dolce figura di Padre Maestro era sempre presente tra noi, con la sua tonaca nera da lavoro, sempre impegnato col suo martello in mano ad aggiustare qualcosa e a parlare con tutti. Quella di Carpineto R. era una bella, pur se piccola, comunità di Frati : ognuno aveva il suo compito, le sue caratteristiche, il suo carattere, ma tutti fusi insieme davano un senso di profonda armonia e di sicurezza. Personale, amici assistiti e Frati in quei giorni eravamo una bella, particolare, unitissima famiglia.

Io e mia moglie eravamo un po’ “gli ultimi arrivati” di questo meraviglioso gruppo di amici dell’Unitalsi di Colleferro e Segni, facenti comunque parte di essi ormai da qualche anno ed anche i piu’ grandi di età. Conoscevamo quindi anche Padre Maestro da qualche anno e spesso lo andavamo a trovare , trovando in lui sempre accoglienza, grande capacità di ascolto, partecipazione e saggio consiglio ; si usciva dal Convento sempre con una speranza nuova, con una rinnovata fiducia nell’Amore di Dio e nella Sua Provvidenza, guardando ad un non facile futuro con maggiore serenità.

Durante quel Soggiorno, una mattina, dovetti ritornare a Roma per tentare di sistemare alcuni affari che riguardavano la mia difficile e disastrata attività commerciale che ormai “languiva” per via di alcune truffe delle quali ero stato vittima tempo prima. Dopo aver finito quanto avevo da fare, mi recai al Santuario della Madonna delle Tre Fontane per un momento di raccoglimento . Abitavamo lì vicino in quel momento, in un bellissimo appartamento sull’Ardeatina, frutto di momenti migliori e che stavano velocemente passando. Dopo aver pregato mi avvicinai ad una cabina di un telefono pubblico ( ce ne erano ancora in quegli anni) posta proprio davanti alla grotta dell’Apparizione e telefonai a casa nostra per ascoltare la mia segreteria telefonica, essendo, come detto, assenti in quei giorni. Con sorpresa ascoltai un messaggio dell’avvocato che conoscevamo e che si interessava di adozioni internazionali ed anche della domanda che noi avevamo fatto tempo addietro.

Eravamo, io e mia moglie ,da poco usciti da un’altra adozione, nazionale, che ci aveva dato la gioia di una piccola neonata, Maria Elena, abbandonata in ospedale perché Down e con gravi problemi cardiaci. E’ stata, quella, una meravigliosa esperienza umana e soprattutto spirituale che meriterebbe, proprio per le sue inaspettate ed innumerevoli implicazioni , una “trattazione” a parte che ora evito per non tediare chi legge questa testimonianza su Padre Maestro. Lui ha conosciuto questa nostra piccola figlia dalla vita breve, breve ed intensa come si conviene a quel profumo di mimosa che senti a volte nell’aria alle porte della Primavera e che non sai da dove viene ne’ dove va. L’ha conosciuta, l’ha amata, l’ha pianta quando è volata in cielo dopo un volo silenzioso e radente nella nostra vita. Anche in quella dei nostri amici dell’Unitalsi .

Tornando alla telefonata, il messaggio del nostro avvocato diceva che c’era una bambina di un anno circa che era possibile adottare, in Albania, e che dovevo dare la nostra disponibilità in giornata e non oltre. La notizia era meravigliosa ma io ero in quel momento in condizioni economiche pessime, la mia attività commerciale era ormai distrutta e non avevo soldi neanche lontanamente sufficienti per affrontare questa bella ma inattesa “avventura”. Riappesi con mestizia la cornetta telefonica e rimasi come “sospeso”, non sapendo cosa fare, COME fare, come dirlo ad Anna. Allora mi girai verso la grotta e, rivolgendomi alla Madonna, pensai . “ Madonnina mia, tu lo sai quello che sto passando, che non ho nulla; come facciamo a

prendere questa piccola? Con quali soldi? Come faccio a rispondere “oggi e non oltre”? Ti prego, dammi un “segno”entro oggi su quello che io devo fare, perché io non lo so “.

Queste furono le parole che io dissi a Maria, in parte quasi “inattese” anche da me stesso, non essendo io un tipo facile alle richieste di “segni”( ..ci basti “ il segno di Giona”) e tendenzialmente (non “pregiudizialmente”) diffidente su chi dice di averne. Ma questo io Le dissi.

Risalii in macchina (quella non me la avevano ancora rubata; verrà dopo il momento) ed iniziai a tornare verso il Convento di Carpineto Romano. Il viaggio fu tutto un pensare e ripensare. Dopo circa un’ora arrivai in vista del Convento e vidi da lontano Padre Maestro che stava al cancello, quasi se aspettasse qualcuno. Appena parcheggiata l’auto mi diressi verso di lui e lo salutai e lui mi chiese “Dove sei andato?”. Io risposi che ero andato a Roma per sistemare qualcosa riguardante il mio lavoro e feci per entrare al Convento : era quello infatti il momento del pranzo di tutti gli ospiti e non volevo far tardi. Avevo già “saltato” le difficili “alzate” della mattina degli amici malati e non volevo sedermi a mangiare senza aver prima aiutato anche io a servire a tavola e ad imboccare chi ne aveva bisogno. Padre Maestro , inaspettatamente, mi disse: “ Franco, vieni a mangiare con me oggi”. Rimasi sorpreso di questo insolito invito. Dico “insolito” perché non me lo aveva mai fatto : i Frati mangiavano in cucina, tra di loro, come famiglia comunitaria (anche se in alcune occasioni particolari si mangiava tutti insieme nel refettorio grande). Io declinai l’invito perché almeno il servizio di refezione volevo farlo; non essendo stato presente alle “alzate” degli ospiti non mi sembrava opportuno , appena arrivato, andare a mangiare con P.Maestro e non con tutti gli altri, anche se mi avrebbe fatto piacere. Lui però insistette più volte e la cosa mi incuriosì, pensando che forse doveva dirmi qualcosa. Visto il ripetersi dell’invito finii con l’accettare e mangiammo insieme.

Notai che non aveva qualcosa da dirmi in particolare ma notai anche che ripetutamente mi chiedeva cosa avessi fatto quella mattina, dove fossi stato ed altre domande simili. Era insolita questa insistenza e non certo dettata da semplice “curiostà” in quanto P.Maestro era sempre così discreto ! Così mi confidai con lui sul cattivo andamento del mio lavoro (cosa a lui già nota) e su quello che avevo fatto, in tal senso, quella mattina ma soprattutto della telefonata dell’avvocato che mi comunicava tanto la possibilità dell’adozione quanto la necessità di dargli una risposta in giornata. Non dissi nulla della mia visita alle Tre Fontane ne’ della mia preghiera alla Madonna di avere “un segno”. Lui si illuminò, quasi, in volto come se “aspettasse” proprio quella notizia , cosa che mi fece un po’ trasalire. Quando gli diedi questa notizia lui mi disse subito: ”Beh! Che aspetti, pigliala no? “. Così io dovetti dire a P.Maestro che non sapevo come fare e che quindi, non avendo possibilità economica, dovevo rinunciare. “ Ma perché?-disse lui- quanti soldi servono? “ ed allora comunicai l’importo che serviva tra viaggio, permanenza, traduzioni in italiano ecc. . Padre Maestro allora chiese ad alta voce a P.Loreto, altro pilastro del Convento : “ P.loreto, quanto abbiamo in banca?”, allora lui che era in cucina venne nella saletta dove mangiavamo e, logicamente un po’interdetto per quella domanda strana, disse la cifra che avevano e P.Maestro allora aggiunse: “fai l’assegno a Franco che deve subito adottare una bambina ” e P.Loreto, dopo una rapidissima consultazione con i Frati presenti in cucina, senza battere ciglio stacco’ l’assegno. quanto ancora mancava , in pochissimi minuti, venne da due nostri cari amici lì presenti e da P.Maestro interpellati in tal senso e così in brevissimo tempo noi avemmo quanto necessitava.

In due settimane Mariana, la nostra amatissima figlia da 22 anni, è arrivata in Italia trovando una mamma, un papà, tanti amici, tanto amore e….P.Maestro.

COME non ricollegare la preghiera da me fatta alla Madonna delle Tre Fontane per avere “un segno” a quanto accaduto dopo un’ora e mezza circa??

COME non vedere in quanto accaduto un segno chiaro della Provvidenza di Dio (sulla quale potrei scrivere non un libro ma due)?

COME non pensare che l’attesa sulla porta di P.Maestro, il suo insolito invito a mangiare con lui, la sua inusuale insistenza nel voler sapere cosa avessi fatto, l’immediatezza della sua (e della loro) fattiva risposta non facesse tutto parte di un disegno del Cielo?

E “COME” non pensare che P.Maestro , secondo me, già sapesse “qualcosa” di quanto poi verificatosi?

Gli scettici parlerebbero ora di “ un caso”, di “una circostanza fortuita”, di “coincidenze”, ma io no.

Nostro Signore non usa il cellulare ma ci parla anche attraverso “segni” recanti la Sua presenza e che noi dobbiamo riuscire a decifrare, pur nella quotidianità dei nostri affanni, delle nostre sofferenze, delle nostre insoddisfazioni così anche delle nostre gioie e delle nostre vittorie.

Dobbiamo essere attenti a quella brezza leggera che il Profeta Elia udi’ nella sua tenda sul Monte Oreb e nella quale avverti’ la presenza di Dio , piu’ che al “vento che si abbatte gagliardo”ma che non annunciava il Signore.

Ed è proprio in quella “brezza” dell’insistenza strana di P.Maestro che io ho avvertito la Sua presenza e la Sua risposta al “segno” che avevo indegnamente chiesto a Maria.

P.Maestro e P. Loreto hanno officiato il rito del Battesimo di Mariana e tutti insieme , in quella grande festa , abbiamo gioito di questa vittoria dell’Amore di Dio.

Quando tutti e tre abbiamo lasciato Roma per una nuova vita in un posto lontano dagli affetti piu’ cari, affrontando un nuovo lavoro che ancora non c’era, con in tasca solo pochi spiccioli di speranza, in un posto che non conoscevamo ma che Dio aveva preparato per noi, P. Maestro , accompagnandoci alla porta , ci disse: “ vedrete quanto vi aiuterà Mariana”.

E così è stato perché , lei piccolina, ha allietato la nostra vita in momenti difficilissimi della nostra esistenza e continua a farlo anche ora che, ventitreenne, ha scelto di seguire il Signore entrando in Convento.

Da aggiungere che, dopo un certo tempo, noi tentammo di restituire a P.Maestro i soldi avuti ma lui rifiutò dicendo : “ ..e che, la carità la volete fare solo voi? Anche noi Frati la vogliamo fare! “.

Ecco cosa ha fatto per noi tre P.Maestro

P.S. : rendiamo questa testimonianza come atto dovuto ad un uomo semplice, umile, amabile, vero testimone dell’Amore di Dio

In fede Franco e Anna Pietrangeli

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