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Il primo documento datato 1077 e i primi signori del castello di Karpineta

Però la data ufficiale di nascita è conservata in un altro atto legale in Anagni, in cui si dichiara espressamente che un certo Raynerius anagnino regala al monastero di Villamagna (già residenza romana di imperatori) il castello di Karpineta: il 12 delle calende di settembre, cioè il 21 agosto del 1077.

Ormai la sicura nascita del paese lo immette di prepotenza nella storia ed anche nelle mani dei diversi signori che si succederanno con le loro numerose famiglie sul « fondo » in cui i pastori avevano solo il diritto di sopravvivere, pascolare e “legnare”.

La graduale penetrazione papale, iniziata nelle nostre val­late verso l’XI-XII secolo, non si fa attendere e Carpineto viene nominata in una bolla che Urbano II spedisce al vescovo di Anagni il 23 agosto 1088.

Questa penetrazione si rileva spesso sotto forma di tasse in denaro o in natura che il popolo deve costantemente inviare.

I Canonici Regolari della basilica di San Giovanni, mentre s’impossessano di Valmontone e Montelanico, già riscuotono qui per ogni famiglia il focatico di tre denari ed un fiorino d’oro in tassa da parte del signore feudatario. La basilica lateranense quindi gode dei diritti sul castello “con mero e misto imperio”, facendoci capire che i padroni sono sempre due: i lontani canonici ed i vicini signori feudatari.

Ma evidentemente la lontananza da Roma, gli uffici del coro, il cedimento dell’autorità centralizzata del Papa, impedisce ai Canonici della basilica lateranense di interessarsi all’esazione erariale di tre miseri denari tolti ai poveri pastori carpinetani, così che un giorno essi si videro letteralmente venduti al Conte Gregario di Ceccano che nel 1157 “acquisivit Carpinetam” se­condo la cronaca della vicina abbazia di Fossanova.
Carpineto ricade sotto l’autorità dei Conti Annibaldeschi di Ceccano, temuti per l’estensione dei loro feudi e per la loro crudeltà.

Benché la loro fama fosse dovuta a ruberie, quasi a nobilitare questa stirpe interviene lo storico Gregorovius che afferma: «Nei monti Volsci primeggia, dinastia antichissima della contrada, la casa dei conti di Ceccano che, per ricchezza e dignità, era nella chiesa tenuta in gran conto ».
Il Gregorovius la diceva «degna» casa di Conti in quanto si affrettava a confermare che erano i diretti discendenti di Longobardi o Sassoni o Franchi, tutti naturalmente di stirpe tedesca come lui! In questo modo Carpineto si mette nel grande circuito dei vasti possedimenti dei conti di Ceccano, i più potenti signori della Campagna.

Discendente del conte Landolfo di Ceccano, morto nel 1182 è Giovanni, figura rappresentativa di quella casa patrizia per l’estrema sensibilità politica ad ampliare con feudi nuovi il suo patrimonio.
Egli, per ingraziarsi i monaci dell’abbazia di Villamagna che coltivavano una vasta zona tra Gorga e Gavignano, nonché avevano interessanti diritti su parte dei monti Lepini, concesse loro un oratorio fabbricato da un tal frate Anselmo intitolato all’arcivescovo di Canterbury Tommaso Becket, ucciso dal suo re inglese (il quale assassinio ha dato origine ad un famoso dramma moderno: «Becket e il suo re! »).
Infatti Tommaso Becket era stato canonizzato nella vicina città di Segni, il 12 marzo 1173, da papa Alessandro III; si può dire che “l’acqua S. Tommaso” (come viene chiamata la località in cui sorse l’oratorio) sia stata la prima in Europa ad usufruire di un titolo così ambito.
Ma il conte Giovanni facendo atto di donazione dell’oratorio, non dimenticò “case, terre colte e incolte, utili e pertinenze” riservandosi di prendere dai monaci cistercensi almeno una li­bra di cera all’anno da offrire alla chiesa di Anagni.

L’atto legale, confermato da papa Innocenzo III, fu controfirmato da Siginulfo, feudatario del vicino castello di Collemezzo, (ora distrutto). Ma sembra che la storia si faccia soltanto di atti legali, che poi intuizioni ed ipotesi allargano in modo piuttosto vistoso; infatti il testamento di Giovanni Annibaldeschi, conte di Ceccano, datato al 5 aprile 1224, lasciava quattro figli ed un patrimonio invidiabile. Il diritto di primogenitura toccò a Landolfo, che proliferò altri quattro padroni, lasciando loro la preoccupazione di accudire ai castelli di Ceccano, Arnaria, Patrica, Cacume, Monte Acu­to, Giuliano, Santo Stefano, Pisterzo, e Carpineto, nonché a tut­ti gli uomini, (quasi fossero proprietà privata) coi servizi, le strade, i monti, i pascoli, i terreni coltivati e, come non bastasse, tutto ciò che aveva attinenza con questi castelli!

Però i canonici della basilica di San Giovanni avevano sempre il diritto di una soprattassa sul terreno carpinetano.
Il nipote di Landolfo, Giovanni II, pensò bene di non pagare più tributi alla Chiesa e di farsi rimproverare per improvvisi colpi di mano aldiquà e aldilà dei Lepini fino al mare: non conten­to un giorno assalì gli abitanti di Terracina uccidendone parec­chi, tanto che fu costretto a offrire “25 fideiussori e la quarta parte del castello di Carpineto”, per risarcire i danni.

Disingannati da questi “uomini di chiesa” come li ha chiamati lo storico Gregorovius, quando i Canonici Lateranensi constatarono che nei loro libri mastri non risultavano gli utili dovuti dai feudatari ceccanesi, spaventati e costernati dovettero lasciare scritta “inutiIiter et infructuose ipsi ecclesiae iacet, sicut iam iacuit diuturnis temporibus (è inutile alla stessa chiesa, come già da troppo tempo!).

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