testa scolpita di papa leone xiii

Leone XIII e il "suo tempo"

L’ultimo “papa-re” come veniva salutato in più di qualche occasione dagli intransigenti e dall’aristocrazia nera romana, Leone XIII, umanista e cultore delle scienze, il primo dei pontefici romani per il tenace riproporre la Chiesa al centro delle problematiche del lavoro, ispiratrice della libertà umana e della riconciliazione con la politica. “Una delle figure più splendide della storia moderna” lo definiscono gli storici di parte ecclesiastica, riconoscendogli di aver fatto raggiungere alla sua Chiesa prestigio e importanza universale. Un merito indubbio. Infatti si adoperò a risolvere polemiche infinite nella Francia della Terza Repubblica, permettendo ai cattolici francesi di aderire al nuovo assetto politico; combatté con vigore la massoneria in Spagna e Portogallo e riportò un insperato successo contro la Kulturkampf del cancelliere tedesco Bismarck, riuscendo a contenere la pressione interna dei cattolici del Zentrum (formazione politica fortemente ostile alla politica bismarckiana), tanto che il pontefice romano verrà chiamato quale arbitro super partes nella disputa delle isole Caroline tra Spagna e Germania. Le celebrazioni giubilari sacerdotali furono il trionfo anche terreno di Leone XIII, che ebbe in visita molti regnanti europei, i cui doni costituiscono cospicuo patrimonio dei Musei Vaticani.

Ma dove s’infranse parte della sua azione fu all’interno della politica italiana, che si alimentava delle polemiche unitarie e della presa di Roma, considerata da papa Mastai e da papa Pecci diritto inalienabile alle libertà della Chiesa Romana. Il “non expedit” divenne anche un deterrente alla partecipazione politica dei cattolici nello Stato Italiano ed il nostro pontefice si dichiarava “custode fedele dei diritti e delle ragioni della Chiesa e della Santa Sede”.

Da qui scaturisce l’intensa attività diplomatica leoniana a porre al centro degli interessi internazionali la questione romana. Certamente l’estremismo del Crispi, ma anche di una certa parte dei nostalgici del vecchio stato pontificio non dovettero agevolare la distensione. Dall’uno e dall’altro campo comunque ci furono spiriti che cercarono di raggiungere un debole modus vivendi, spesso vanificato da una forte massoneria, che si arrogava il diritto di aver saputo raggiungere l’unificazione nazionale.

L’erezione del monumento a Giordano Bruno in Campo di Fiori, opera di Ettore Ferrari fratello massone e la parodia giubilare inscenata da Ernesto Nathan nell’Anno Santo del 1900, con le visite plateali alle basiliche della laicità (Porta Pia, Gianicolo, Pantheon, Campidoglio) divennero ferite al cuore del vecchio pontefice, che per un periodo sembra che ipotizzasse un allontanamento della sede pontificia dall’Italia..

Malgrado questi ostacoli alla politica e visione mondiale delle problematiche religiose e sociali, Leone XIII, nell’anno in cui nasceva in Italia il partito Socialista, promulgava il più celebrato dei suoi documenti sulla questione sociale: l’enciclica Rerum Novarum (1891).

Tardiva risposta al Manifesto di Carlo Marx, andava a riconoscere in campo nazionale intense esperienze sociali che i cattolici stavano sperimentando nel campo dell’assistenzialismo lavorativo, nella risoluzione delle previdenze(Casse di risparmio), che andavano sfociando in una timida vanificazione del “non expedit” fino alla risposta organizzata “delle masse politiche cristiane”.

A IESU CHRISTO
INEUNATIS SAECULI
AUSPICIA

Cultrix bonarum nobilis artium
Decedit aetas: publica commoda,
Viresque naturae retectas,
Quisquis avet, memoret canendo

Saecli occidentis me vehementius
Admissa tangunt: haec doleo et fremo.
Pro quot, retrorsum conspicatus.
Dedecorum monumenta cerno.

Querarne cades, sceptraque diruta,
An pervagantis monstra licentiae?
An dirum in arcem Vaticanam
Mille dolis initum duellum?

Quo cessit Urbis, principis urbium
Nullo impeditum servitio decus?
Quam saecla, quam gentes avitae
Pontificum coluere sedem?

Vae segregatis Numine legibus!
Quae lex honesti, quae superest fides?
Nutant, semel submota ab aris,
Atque ruunt labefacta iura.

Auditis? effert impia conscius
Insanientis grex sapientiae;
Brutaeque naturae supremum
Nititur asseruisse numen.

Nostrae supernam gentis originem
Fastidit excors: dissociabilem,
Umbras inanes mente captans,
Stripem hominum pecudumque miscet.

Heu quam probroso gurgite volvitur
Vis impotentis caeca superbiae,
Servate, mortales, in omne
Iussa Dei metuenda tempus,

Qui vita solus, certaque veritas,
Qui recta et una est ad Superos via,
Is reddere ad votum fluentes
Terrigenis valet unus annos.

Nuper sacratos ad cineres Petri
Turbas piorum sancta petentium
Is ipse duxit; non inane
Auspicum pietas renascens.

IESU, futuri temporis arbiter,
Surgentis aevi cursibus annue:
Virtute divina rebelles
Coge sequi meliora gentes.

Tu pacis almae semina provehe;
Irae, tumultus, bellaque tristia
Tandem residant: improborum
In tenebrosa age regna fraudes.

Mens una reges, te duce, temperet,
Tuis ut instent legibus obsequi:
Sitque unum Ovile et Pastor unus,
Una Fides moderetur orbem.

Cursum peregi, lustraque bis novem,
Te dante, vixi. Tu cumulum adiice;
Fac, quaeso, ne incassum precantis

Vota tui recidant Leonis.

A IESU CHRISTO
INEUNATIS SAECULI
AUSPICIA

Celebri a chi talenta
Questa nobile età giunta al suo termine,
Che, tutta alla cultura
Delle buone arti intenta,
Fornir seppe tali agi al nostro vivere,
E divinar quantunque può Natura

Me di tristezza estrema
Opprimono le mali opre del secolo
Cadente: onde io doloro,
Né so star che non frema.
Oh quanto, allor che miro ai dì che furono,
Quanto si para agli occhi miei disdoro!

Scossi i regali scanni
Lementerò? Le stragi e l’altre infamie,
Che funestar la terra?
O le frodi che ai danni
Del Vaticano s’intesser molteplici,
Fattolo segno alla più aspra guerra?

Della città d’ogni città regina
Il vanto dov’è di giogo impaziente?
Ogni secolo ed ogni avita gente
A lei di culto saldo omaggio diede,
Però ch’è de’ pontefici la sede.

Onta alle leggi, se da Dio lontane!
Qual freno d’onestà? Qual fede resta?
Dall’ara appena svelte, di tempesta
Nuotan tra i flutti, per avversa sorte,
e guaste in preda cadono di morte.

Udite? Un gregge dall’error travolto,
Per folleggiante sapienza, d’empie
Dottrine il grido estolle e il voto adempie,
E si sforza a provar con sottil cura
Che dal bruto si volve sua natura.

Folle, la nostra origine suprema
Disdegna e col pensiero, l’ombre vane
Cercando, forma di parvenze strane
D’uomini stirpe e di materia bruta,
che mesce insieme, agglomera e tramuta.

Oh, in quale vituperoso gorgo affonda
La cieca forza d’orgoglio impotente!
Mortali, a conservar ponete mente,
Nel continuo rivolgere dell’ore,
I temuti comandi del Signore.

Ch’ei solo è vita e veritate certa,
Retta ed unica via che in alto mena,
di santi spiriti alla magion serena.
De’ nati della terra egli può solo
Drizzar gli anni veloci al somo polo.

Or ora al scaro cenere di Piero
Le pie turbe chiedenti perdonanza
Trasse egli stesso. Augurio di speranza
Non menzognera pietà che si rinnova.

O GESU’ del futuro arbitro, assenti
Favore all’albeggiante era: deh mena
Colla diva potenza alla serena
Brama, piega al tuo cenno ubbidienti,
A miglior meta, le ostinate genti.

Dell’alma pace la semenza cresci:
L’ire, i tumulti, le guerre funeste
Cessino alfine; delle genti infeste
Premi nel fondo ai regni tenebrosi
I frodolenti inganni, insidiosi.

Un sol consiglio i re guidi te duce,
Sì che curvin la fronte alla tua legge:
Sia un solo pastore, un solo gregge:
Una fede soltanto, un sol pensiero
Che moderi le sorti al monso intero.

Fornii lo stadio: per due volte
Lustri vissi per te. L’opra suggella,
arridi alla mia supplice favella.
Del tuo Leone deprecante i voti

Al cospetto del ver non cadan vuoti

ciambelle anice

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