Reputantibus saepe (20 Agosto 1901)
Reputantibus saepe
Dissensi in Boemia per la lingua nazionale
20 agosto 1901
Riflettendo spesso nel Nostro intimo sulla condizione delle vostre chiese, queste ci appaiono, e ora quasi dovunque, tutte piene di timore, tutte piene di affanni. Questo però fra di voi accade in modo ancora più grave, perché, pur essendo la realtà cattolica sempre esposta all’invidia e all’astuzia dei nemici esterni, a trascinarla nel pericolo ci sono anche della cause interne. Mentre infatti per l’azione aperta e nascosta degli eretici accade che l’errore invade gli animi dei fedeli, si accrescono ogni giorno fra gli stessi cattolici i germi della discordia: non c’è assolutamente nulla più di questo in grado di annullare le forze e di infrangere la fermezza.
Il più forte motivo divisione, particolarmente in Boemia, è da ricercarsi nella lingua che gli abitanti usano, ciascuno a seconda della sua origine. È infatti insito nella natura il volere amare e difendere la lingua ricevuta dagli avi. Abbiamo quindi deciso di astenerci dal dirimere le controversie a questo riguardo. In verità, la difesa della lingua paterna, se rimane dentro determinati confini, non è biasimevole: tuttavia, quello che vale per gli altri diritti privati, bisogna ritenere che valga anche a questo riguardo, perché dal loro perseguimento non ne deve avere danno la comune utilità dello stato. È quindi compito di coloro che amministrano lo stato fare sì che, sana e salva l’equità, siano salvaguardati i diritti dei singoli, in modo tale tuttavia che sia ben saldo e vigoroso il bene comune della società. Per quanto ci riguarda, il dovere ci ammonisce a guardarci con cura che da simili controversie non ne abbia danno la religione, che è il bene principale delle anime, origine di tutti gli altri beni.
Pertanto, venerabili fratelli, desideriamo ardentemente ed esortiamo che i fedeli, affidati a ciascuno di voi, anche se sono diversi di origine e di lingua, mantengano tuttavia quell’unione degli animi di gran lunga nobilissima che è generata dalla comunione della fede e dei medesimi sacramenti. Quanti infatti sono stati battezzati in Cristo, hanno un solo Signore e una sola fede: e quindi sono un solo corpo e un solo spirito, in quanto sono stati chiamati in una sola speranza della loro vocazione, Non è quindi affatto conveniente che coloro che sono congiunti da tanti santissimi vincoli, che ricercano nei cieli la stessa cittadinanza, siano divisi da motivi terreni, provocandosi e invidiandosi, come dice l’apostolo, gli uni con gli altri. Deve quindi essere inculcata con grande assiduità ai fedeli, ed esaltata con ogni zelo, la consanguineità degli animi che viene da Cristo. “Maggiore è infatti la fraternità in Cristo di quella del sangue: la fraternità del sangue infatti, comporta soltanto la somiglianza del corpo; la fraternità di Cristo invece, rivela l’unanimità del cuore e dell’anima, come sta scritto: la moltitudine dei credenti aveva un cuor solo e un’anima sola”.
In questo campo, coloro che appartengono al clero consacrato debbono precedere gli altri con l’esempio. Oltre al fatto poi che non si addice affatto al loro ministero immischiarsi in dissensi di tal genere: se si trovano a vivere in luoghi che sono abitati da persone di diversa origine e di diversa lingua, facilmente, se non si astengono da ogni specie di contesa, si esporranno all’odio e all’offesa dell’una o dell’altra delle parti; e non c’è nulla di più nefasto per l’esercizio del sacro ministero. I fedeli debbono in verità riconoscere nei fatti che i ministri della chiesa non si occupano di altro che degli interessi eterni delle anime, e che quindi non ricercano il proprio vantaggio, ma unicamente il vantaggio di Cristo. Poiché se per tutti universalmente la caratteristica per la quale i discepoli vengono riconosciuti è questa, che abbiano amore gli uni per gli altri; questo lo si deve affermare molto di più per le persone dello stato clericale fra di loro. Per questo motivo, non solo perché hanno attinto più largamente alla carità di Cristo debbono essere a buon diritto valutati, ma anche perché ciascuno di loro, rivolgendosi ai fedeli, deve poter dire le stesse parole dell’apostolo: “5iate miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (Fil 3,17).
Concediamo però facilmente che questo nei fatti è assai arduo, se gli elementi delle discordie non vengono eliminati al momento giusto, e cioè quando coloro che crescono con la speranza dell’ordinazione clericale vengono formati nei sacri seminari. Per questo, venerabili fratelli, curate attentamente che gli allievi dei seminari imparino tempestivamente, nell’amore della fraternità, ad amarsi gli uni gli altri con cuore semplice, essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, per mezzo della parola di Dio vivo (cf, 1 Pt 1,22-23).
Frenate con forza le passioni erompenti degli animi e non lasciate in alcun modo che prendano vigore; così che, coloro che sono destinati al clero, se non possono avere un’unica lingua, per la differenza di origine, abbiano di certo almeno un cuor solo e un’anima sola.
Da questa concordia delle volontà che si manifesta nell’ordine clericale, seguirà, fra gli altri, quel vantaggio a cui già abbiamo accennato, e cioè che i ministri delle cose sacre potranno ammonire con più efficacia i fedeli, affinché nel difendere e nel rivendicare i diritti propri di ciascuna gente, non oltrepassino la misura, e, trascinati da troppo zelo, non trascurino la giustizia e l’utilità generale dello stato. Questo appunto, per le circostanze delle vostre regioni, riteniamo che sia ora il compito principale dei sacerdoti, esortare cioè in modo opportuno e non opportuno i fedeli ad amarsi gli uni gli altri; e ammonire assiduamente che non è degno del nome cristiano colui che non adempie con l’animo e nei fatti il comandamento nuovo dato da Cristo, che ci amiamo a vicenda come lui ci ha amati. Non lo adempie infatti colui che pensa che l’amore spetti soltanto a coloro che gli sono congiunti dalla lingua o dalla stirpe. “Infatti, dice Cristo, se amate quelli che vi amano, non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, non fanno così anche i pagani?” (Mt 5,46-47). La meraviglia dell’amore cristiano sta proprio in questo, di rivolgersi indistintamente a tutti: “Poiché, come ammonisce l’apostolo, non c’è distinzione fra giudeo e greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l’invocano” (Rm 10,12).
“Dio poi che è amore, conceda benigno a tutti di avere i medesimi sentimenti, di essere unanimi, con lo stesso modo di sentire, senza far nulla per spirito di rivalità, ma ciascuno con tutta umiltà consideri gli altri superiori a se stesso; senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Fil 2,2-4). Di tutte queste cose sia auspice, e insieme testimone della Nostra benevolenza, l’apostolica benedizione, che a voi, venerabili fratelli, e ai fedeli affidati a ciascuno di voi, elargiamo con grande amore nel Signore.
Roma, presso San Pietro, 20 agosto 1901, anno XXIV del Nostro pontificato.
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