Leone XIII e i monti lepini
Tratto dal libro “il Capreo monte di storia e di poesia” a cura di Italo Campagna
LEONE XIII E I MONTI LEPINI
Così una delle tante lettere del Legato Apostolico in Belgio, Vincenzo Gioacchino Pecci, poi papa Leone XIII, al fratello Carlo in Carpineto, datata 14 febbraio 1844.
“Lasciate, carissimo fratello, che io mi occupi del Belgio ove la volontà del Signore mi ha chiamato a compiere una grave missione. I doveri e le occupazioni che ormai mi da l’Ufficio sono oltremodo delicati e difficili come facilmente comprendete, senza che io ne debba parlare: solo vi pregherò di tenermi presente nelle vostre orazioni. La vostra mattutina preghiera sorga dalle falde del Capreo. Sarà la prima volta, io credo, che Carpineto, Capreo ed il Belgio nel cielo s’incontreranno”.
Una indubbia testimonianza di un uomo con nel cuore la sua Carpineto ed i suoi monti, culla della sua vita e delle sue memorie ma anche delle fortune economiche della sua famiglia, i Pecci, apparsi in queste terre già dal secolo XVI. Un’espansione lunga ed attenta di immobili e fondi rustici ed armenti tra Carpineto, Maenza, Priverno e Roccagorga, portata avanti nei secoli fino alla consacrazione di una raggiunta nobiltà sotto i Principi Aldobrandini: principi del piccolo ducato di Carpineto, che andava comprendendo le comunità lepine di Gorga, Gavignano, Montelanico e Maenza (primordiale aggregazione di comunità lepine fin dal secolo XVII). Una conoscenza lepina quasi necessitata dal giovane Vincenzo Gioacchino Pecci, che visse a cavallo delle due comunità fi Carpineto e Maenza, dove erano maggiormente accentrati gli interessi paterni e i fondi certamente inferiori a quelli dei Caetani di Sermoneta, dei Borghese fi Norma, dei Pamfili-Borghese-Aldobrandini di Maenza e Montelanico, dei Ginnetti di Roccagorga, ma pur sempre di un certo peso in una parte dei Lepini che conosceva la polverizzazione fondiaria. E conobbe gli uomini e le loro necessità e ne percorse i sentieri e ne scavalcò le giogaie, nelle pur brevi apparizioni estive e lontano dagli studi prima, dalle incombenze prelatizie e diplomatiche dopo. Più che nei palazzi di Carpineto e Maenza, belli ed ampi, amava il contatto con la gente e i nostri monti, trascorrendo le ore sotto il famoso castagno nella villa in Colle san Giovanni in Carpineto o nell’altra detta delle Rose in Maenza.
E qui rileggeva i suoi amati Virgilio e Orazio in comunione con la natura ed il clima, cui attribuirà la sua prodigiosa longevità, spesso invitando in queste erre illustri giornalisti e politici perché lo constatassero di persona. E si appassionò alla caccia e scalò instancabile il “bel Matarese” e discese le Vagli e prese gli antichi tratturi delle Scala Potenzie, dissetandosi al Rapiglio, per giungere furtivamente alle Prata di Bassiano; e poi la Valle delle Cotte, la
badia di Valvisciolo, e l’Acqua Mezza Valle fino a raggiungere le pur lontane Norma e Cori (patria di sua madre, Anna Prosperi Buzi). Ed ancora il Capreo e la Semprevisa, la Schiazza Paolone ed il Passo del Brigante con le vette della cerchia di montagne dalle intense selve di querce, di castagni, di faggi e di elei che di queste coprono i fianchi, da cui scende un alito purissimo, leggero e balsamiche esalazioni, come afferma il Fraikin. E si spingeva con il cavallo perfino oltre la vicina Gorga, anche verso Sezze e Velletri, alla ricerca di nuove sensazioni e nuove esperienze. E li sognava questi Lepini, rimpiangendoli; e li rivedeva popolati di briganti e di preziose sorgenti che volle poi offrire alle popolazioni lepine. Così per Carpinete, facendovi giungere le acque purissime del Carpino, che accompagnò con la sua straordinaria vena poetica latina; e sperò condurvi anche quella della vicina fonte di Pandolfo, troppo esile e per la quale dedicò una delle sue più belle poesie nella lingua di Virgilio; e per Gorga, cooperando alle spese della fontana della Pastorella. Ed altri benefici in tutto l’arco dei Lepini mentre scorreva nel tempo il suo lungo pontificato. (1878-1903). E l’alba del XX secolo lo vide ancora vigile e volle sciogliere un carme secolare al nuovo secolo e volle elevate sulle cime dei monti più alti d’Italia croci monumentali a difesa del male. In un clima di accese polemiche politico-massoniche volle questo segno della redenzione anche sui monti Lepini: in tutta l’Italia 20 croci per 20 secoli di cristianesimo; sui monti Lepini ben due, una sul Cacume ed un’altra sul Capreo. Per quella sul Capreo, innalzata per una ventina di metri, si istituirono comitati e sottocomitati tra le diverse comunità lepine, che intesero raccogliere dei fondi unitamente a quelle del vecchio pontefice: per Segni p. Lorenzo Caratelli, ministro generale dei Minori Conventuali, don Giuseppe Ramacci, parroco di santa Lucia, Giovanni Gentili, assessore municipale per Cori, mons. Carlo Pasquali, comm. Giovanni Maggi, consigliere provinciale; per Sezze, marchese Edoardo Rappini; per Artena, avv. Attilio Tornassi, sindaco e consigliere provinciale; per Norma, cav. Giuseppe Felici; per Sermoneta, p. Stanislao White, abate di Valvisciolo, Angelo Pietrosanti, sindaco, don Mario Bonanni, arciprete; per Montelanico, Augusto Rossetti, don Filippo De Biasi; per Gorga, Antonio Fioramonte, priore dei pp. Trinitari; per Roccamassima, G. B. Cherubini, sindaco; per Giulianello, cav. Antonio Sbardella; per Maenza, p. Alfonso Baldassarre, parroco agostiniano; per Roccagorga, Vincenzo Rossi; per Patrica, mons. Cesare Spezza, Nicola Spezza; per Supino, Luigi Foglietta; per Morolo, don Pio Franchi, arciprete, cav. Emesto Biondi, professore e scultore; per Sgurgola, don Giovanni Taggi; per Gavignano, Francesco Baiocchi.
E questa straordinaria presenza sui monti Lepini, questa croce monumentale la accompagnò con una generosa offerta e soprattutto con un’altra straordinaria
epigrafe latina: Jesu Christo Deo/restitutae per ipsum salutis/anno MCM/Volsci/ Crux/ave ave/fulgore tuo/tenebricosum qua late patet orbem/disiectis umbris/ illustra/victrix hostes retunde/Capreo imminens verticem Campaniae fines/ ratriamque nostram/Praesidiis/tuere tuis/Leo P.P.XIII/ (/ Volsci, a Gesù Cristo Dio, nell’anno della redenzione 1900. Ave o croce, che con il tuo splendore illumini tutto il mondo fugando le ombre scacci i nemici, difendi la nostra patria e i confini della Campania, innalzandoti sulla cima del Capreo. Leone XIII.)
Alla sua dipartita terrena le popolazioni lepine, a ricordo dello straordinario r vento e del suo lungo e proficuo pontificato, avrebbero voluto concordemente innalzare sul monte Semprevisa una statua colossale in bronzo: l’artista incaricato il valente scultore Ernesto Biondi, reduce dalla vittoria parigina con i suoi celebri Saturnali. Ma i tempi erano grami; gli uomini lepini forse preferirono tornare alle ancestrali dispute ed orgogli di campanile; di certo rimase in tutti immortale il nome di papa Leone XIII, Vincenzo Gioacchino Pecci di Carpinete.
Italo Campagna (da, I Lepini Leone XIII e i monti Lepini, p.5, anno IV, n.5, maggio 1991)
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